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Alessandra Martino: “Buona Pasqua. Ricordate, è nella separazione che si sente e si capisce la forza con cui si ama”

“Mi raccomando a Pasqua tutti vestiti eleganti! La tavola sarà apparecchiata col servizio buono e alle 14 in punto video chiamata collettiva con tutta la famiglia per un brindisi virtuale”. Questa è stata proposta alla mia famiglia, perché quest’anno a Pasqua nonostante siamo quasi tutti vicini, a pochi metri, pochi chilometri, eppure,  dobbiamo essere distati. Non potremo festeggiare,come facevamo sempre, cantando dallo stesso microfono, bevendo dallo stesso bicchiere, mangiando l’uno accanto all’altro, dove l’unica cosa che ci divideva era la bottiglia di vino della nonna; ma rimarremo in casa. E possiamo reputarci fortunati, perché essendo una famiglia super tecnologica, potremo stare tutti insieme comunque.

Sì, perché questa Pasqua sarà diversa come mai nella nostra vita lo è stata. Mai avremmo pensato di vivere questo dramma surreale. Da quando è entrato nella nostra nazione e nel mondo questo intruso che tutti noi abbiamo imparato a chiamare Coronavirus o meglio Covid-19, non siamo più gli stessi, le nostre vite sono radicalmente cambiate; ma c’era già nell’aria qualcosa di strano in questo anno bisestile e con una numerazione quantomeno particolare: 2020.

Se mi avessero raccontato che nel duemilaventi sarebbe accaduto tutto questo, non ci avrei creduto. Ancora oggi, spesso, mi sveglio e credo di aver sognato tutto; poi, il silenzio assordante che si sussegue spezza ogni mio pensiero e mi rendo conto che è tutto reale; che ci sono dentro, io e tutto il mondo. Eppure, per quanto assurdo possa sembrare, sono del parere che ci sia un denominatore comune per tutto questo; un minimo comune multiplo che raccoglie gli incendi in Australia, la guerra in Siria, le lobby farmaceutiche, il razzismo, l’omofobia, l’inquinamento e che più ne ha ha più ne metta.  Questa pandemia colpisce tutti: che tu sia un principe ereditario o un senza-tetto; a questa pandemia non importa quanti soldi hai, di cosa puoi comprare, di dove supponi di poter fuggire per nasconderti. Non c’è un posto sicuro.

Possiamo evitare i contagi solo stando lontani e in questa lontananza forzata forse qualcuno capirà che cos’è che conta davvero, quanto vale un abbraccio, quanta ricchezza si possiede con semplicità e quanto abbiamo sbagliato a dare troppe cose per scontate. Puoi comprare tutto quello che desideri ma ciò che ha valore per davvero non ha nessun prezzo. Magari, quando passerà ce lo ricorderemo. Magari, daremo il giusto peso a ciò che conta davvero.

Ora c’è un prima e c’è un dopo: prima i salutisti ci consigliavano di uscire di casa, di relazionarci con gli altri, di andare a correre nei parchi; dopo ci è stato tutto vietato e ci rimbomba nelle orecchie l’obbligo-precauzione: restate a casa, attuate il distanziamento sociale, usate guanti e mascherine… A trovarle!

Quasi tutti noi abbiamo seguito questi consigli alla lettera: usciamo solo una volta alla settimana per la spesa, vestiti da marziani, e quando ci scontriamo nei supermercati con i nostri carrelli, ci blocchiamo immediatamente guardandoci con sospetto al di sopra delle nostre mascherine, tanto che sembra riecheggiare intorno a noi la colonna sonora di Per un pugno di dollari.

A volte mi viene un pensiero assurdo, forse per esorcizzare la paura: ma non è che tutto questo è un esperimento, deciso dai potenti della terra, per riuscire a piegare tutti gli esseri umani al loro potere e studiare le loro reazioni? Poi, però, scuoto la testa leggendo e scrivendo comunicati stampa,  vedendo i telegiornali, che trasmettono immagini di medici stremati, ospedali al collasso, città vuote come non lo sono mai state, neanche a Ferragosto, ma soprattutto ascoltando la lista giornaliera che ogni giorno puntuale alle 18 ci martella nelle orecchie e nel cuore con i numeri dei contagiati e dei morti… i morti, morti soli e senza un funerale.

L’obbligo di stare a casa mi ha fatto ritornare in mente quel libro famoso che leggevo da bambina: Il diario di Anna Frank; lo spiego sempre, con quella’aria da maestrina che mi ritrovo. alla mia famiglia: “sapete anche loro erano costretti a restare in casa, ma peggio ancora dovevano nascondersi per colpa di un ben altro virus, ma malvagio e assassino come questo”. Mi ricordo che per cercare di avere una vita che potesse sembrare normale Anna e i suoi familiari si vestivano bene, per quello che potevano, nei giorni di festa e cercavano di riciclare dalle loro vecchie cose dei regali da distribuire.

Anche io in questi giorni, in cui non si è più liberi di fare shopping come eravamo abituati in quegli odiosi centri commerciali, che ora rimpiangiamo, cerco tra le mie vecchie cose oggetti da regalare a mio nipote per distrarlo un po’. Per questo ho deciso che quest’anno avremo una Pasqua “normale”: una tavola ben apparecchiata, vestiti non con le tute, che ormai fanno parte di noi, ma vestiti bene, e al centro della tavola metterò una bella scritta colorata, che, anche se con voce incerta, dirà: andrà tutto bene!

 

 

 

 

 

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