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AVELLINO.BERSANI LANCIA ART.1:”NON SCISSIONISTI MA ESPULSI.SIAMO ALTENATIVI ALLE DESTRE E SFIDIAMO IL MOV5STELLE.”

È partito da una analisi degli errori compiuti nel percorso compiuto, in particolare negli ultimi due anni, all’interno del Partito Democratico e che hanno contributo all’ascesa di Renzi e all’affermazione della sua visione come dominante e pressoché monolitca, l’incontro col quale questa sera la sinistra dem fuoriuscita ha tenuto a battesimo la nascita del “Movimento dei Democratici e Progressisti, Articolo 1”. Un nome che richiama non caso il primo articolo della Carta Costituzionale, all’interno del quale sono condensate le linee programmatiche lungo le quali intenderà muoversi il nuovo soggetto politico che ha i propri riferimenti in figure come Massimo D’Alema e Pierluigi Bersani. E proprio quest’ultimo ha concluso i lavori di presentazione del movimento, ufficialmente nato nel giorno in cui ricorreva l’anniversario dell’adozione dell’articolo 1 della Costituzione repubblicana, presso la Sala Blu del Carcere Borbonico di Avellino.

«Noi portiamo la nostra storia e i valori che l’hanno impregnata e che nessuno avrebbe potuto indurci a rinnegare, dentro l’entusiasmo col quale ci accingiamo a costruire un nuovo soggetto politico». A parlare è Francesco Todisco, ex riferimento della sinistra Pd irpina, che col proprio intervento ha preceduto quello dell’europarlamentare Massimo Paolucci e poi di Bersani. «Fino all’ultimo abbiamo creduto alla possiblità di un congresso vero, che fosse basato non sulla contendibilità della segreteria, orizzonte al quale non aspiravamo, ma delle questioni e delle scelte politiche di fondo, al fine di mettere finalmente in discussione la linea politica del partito. Un passaggio impossibile, come attestato da tanti elementi tra cui il ritardo nelle dimissioni di Renzi non da premier, quelle sì scellerate, ma dall’incarico di segretario, oltre al modo in cui sono arrivate: senza un minimo accenno alla riflessione sugli errori compiuti». Il riferimento è alla fase post-referendaria che ha ridotto la crisi interna al partito ad «una semplice conta tesa a riconfermare il capo». Da qui la rivendicazione del senso e della necessità di una scelta «venuta solo dopo quella che in realtà era una scissione già presente all’interno della comunità del Pd, tra il partito e ed il nostro popolo, come dimostrato alle Regionali in Romagana o alle Amministrative di Torino e Napoli o come, infine, al referendum quando, dopo il suo epilogo avrebbe dovuto unire quella comunità e invece l’ha divisa».

Nel nome, poi, è sintetizzato il codice genetico del nuovo soggeto nascente. «Dentro l’Articolo 1 c’è il nostro dna: la nostra concezione dei diritti civili, sociali e politici che non possono essere affermati senza affermare la dignità del lavoro. Ecco la nostra missione. Questa forza nasce consapevole della propria dignità e ad essa sottende anche ad un altro concetto fondamentale che è quello di coalizione, termine che indica il processo attraverso cui identità diverse provano ad incontrarsi, confrontarsi e costruire una comune visione di governo. Elemento imprescindibile per poter governare, in particolare una fase complessa e delicata come questa. L’alternativa è quella di una ricerca di consenso che trasforma il partito in un contenitore all’interno del quale c’è tutto ed il contrario di tutto». Dunque, Articolo 1 non nasce come una forza onnicomprensiva ma «consapevole di poter costruire ponti per allargare il campo del centro-sinistra. Costruiremo un partito in sintonia con il ruolo che intendiamo interpretare e che recuperi il dialogo con la base, con le classi subalterne per recuperare un ruolo di rappresentanza e risposta dei bisogni e delle istanze collettivi. Il Pd, oramai, è divenuto un partito senza popolo. Io – ha concluso Todisco – ho imparato la militanza che si sostanza nella possibilità di stare accanto a chi a letto un milione di libri come a chi non sa nemmeno parlare, consapevole della saggezza e dell’intelligenza politica di chi non sa nemmeno parlare. È questo lo spirito di costruzione della sinistra e questo spirito può confluire in questo percorso da affrontare con entusiasmo».

Da quell’entusiasmo e da quel pluralismo ha preso le mosse l’interno di Massimo Paolucci, che ha rivolto un invito alla stampa: «Da ieri abbiamo finalmente un nome e un cognome: Articolo 1. Smettetela di chiamarci scissionisti, un termine che, soprattutto per noi campani, è connotati di significati estremamente negativi, rappresentando la frangia più violenta della camorra. Noi, invece, siamo quelli che eravo in marcia a sfilare a Locri e che il 19 marzo abbiamo ricordato don Peppe Diana». Anche Paolucci ha posto l’accento sulla carica simbolica che l’articolo 1 assume per il Movimento dei Democratici e Progressisti. «Lavoro e democrazia: il lavoro che c’è e quello che deve esservi. Da ora abbiamo un nome e un cognome e siamo nati per dare una mano a rinnovare ed unire il centro-sinistra che così com’è non ce la fa: noi lavoriamo per un nuovo Ulivo perché il Pd da solo non ce la fa. Qualcuno dice che aiutiamo il M5S a vincere. È vero il contrario: i populisti non sono cosa astratta ma gente in carne ed ossa che stanno in mezzo a noi. Noi dobbiamo ridare una casa a quanti non l’hanno più». E poi la risposta a Renzi che, al Lingotto, ha definito i fuoriusciti: «combattenti e reduci. Una parola che non è solo offensiva per noi ma per quegli uomini e quelle donne che hanno ricostruito questo Paese facendolo ripartire e restituendogli diritti e libertà. È un’offesa ad un pezzo della nostra storia. E poi, cosa significa reduci? Noi pensiamo che “creare lavoro” riducendo diritti e aumentando flessibilità sia una grande sciocchezza. Questo vuol dire essere reduci? Noi crediamo che sia un errore ridurre tasse sul patrimonio indistintamente e non in maniera progressiva o a chi crea lavoro. E questo vuol dire essere reduci? Noi ci muoviamo lungo il filo di valori e battaglie concrete, che permettano di far vita ad un movimento largo che crei una nuova classe dirigente e vogliamo farlo con l’orgoglio di avere accanto a noi compagni come Bersani e D’Alema. Noi – ha chiuso l’europarlamentare – non siamo reduci, ma combattenti sì che non vuol dire violenti: noi combattiamo con la passione e l’orgoglio di una storia di cui siamo fieri ma che vogliamo rinnovare e vogliamo farlo insieme, con spirito inclusivo e ricostruttivo. Noi vogliamo ricostruire un partito per ricostruire l’Italia».

E quindi l’intervento conclusivo di Pieluigi Bersani che, partendo da una lettura sistemica, che ha preso le mosse da un’analisi dell’ascesa e del declino della globalizzazione che ha coinciso con il sostanziale declino e, dunque, la crisi delle sinistre e dei partiti democratici a livello globale è arrivato al cuore della questione che ha portato alla rottura con la visione renziana del partito e del mondo. «Renzi, negli ultimi tre anni non ha voluto vedere che la globalizzazione ha mosso delle energie e delle forze straordinarie prima di mostrare il proprio volto più spietato e le proprie spine. In questa fase calante le parole d’ordine che ci hanno accompagnato per oltre un decennio non servono più né sono più valide. Non serve a niente dirci che va tutto bene, raccontarci la storia della crescita, dello sviluppo, del merito e delle eccellenze quando questo non è assolutamente vero. La globalizzazione, superata la propria fase rivoluzionaria ha prodotto delle diseguaglianze galoppanti dalle quali poi è discesa l’attuale ripiegamento». Il ripiegamento che ha aperto alle destre mondiali una vera e propria autostrada da percorrere facendo leva sui timori, le incertezze e le debolezze delle persone alle quali queste, da un capo all’altro del pianeta, dagli USA alla Francia, stanno rispondendo con la parola d’ordine «protezione: la protezione del proprio lavoro, dei propri cittadini, delle proprie posizioni. Ma la storia ci insegna che il protezionismo è una cosa molto insidiosa che si trascina dentro un disastro globale, promettendo rischi di guerre e declino economico». Ed è allora da sinistra che bisogna andare all’assalto e declinare il termine protezione che vuol dire «protezione del lavoro, della sanità e del welfare», nell’intento di ripristinare un modello europeo, oggi profondamente in crisi: crisi alla quale non è possibile rispondere con una politica neoliberista che lascia indietro i più deboli. È da questa piattaforma programmatica, che trova sintesi proprio nell’Articolo 1 della Costituzione, declinando insieme diritti e dignità sociale con la difesa della democrazia contro ogni deriva che possa minarne le fondamenta, che intende partire il Movimento dei Democratici e Progressisti, per contribuire alla ricostruzione di un campo «largo del centro-sinistra per restituire un orizzonte a chi lo ha perso: sia che venga dal Pd sia che non lo sia mai stato». Una visione plurale che non poteva trovare posto all’interno del partito del segretario Renzi, animato dalle stesse dinamiche di restringimento degli spazi di partecipazione che ha ispirato alcuni provvedimenti connotativi della sua azione di governo. È per questo che gli aderenti al Movimento Articolo 1 non sono «degli scissionisti ma degli espulsi: gente trasparente che non condivide l’idea per la quale il centro-sinistra si riassuma nel Pd e il Pd si riassuma nel capo».

La democrazia, dunque, come faro insieme al lavoro per essere «alternativi alla destra – per Bersani il vero avversario da contrastare – e sfidanti nei confronti del Movimento Cinque Stelle – che invece hanno risposto proprio allo smarrimento dilagante». E allora la sfida per i prossimi mesi: «il sistema è ancora molto incerto e basta poco tempo perché gli equilibri cambino, proprio in ragione di tutta questa incertezza. Incertezza dalla quale possono venire grandi opportunità»

Giulia D’Argenio,Orticalab

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