Approfondimenti

Battaglisti napoletani in trincea

Un genere che incontrò larga affermazione nella pittura napoletana del Seicento e lusinghiero successo tra i collezionisti fu la battaglia, la quale è ben rappresentata nella collezione in esame.

La nobiltà amava adornare le pareti dei propri saloni con delle battaglie raffiguranti singoli atti di eroismo o complessi combattimenti che esaltavano il patriottismo e l’abilità bellica, virtù nelle quali i nobili amavano identificarsi.

Anche la Chiesa fu in prima fila nelle committenze, incaricando gli artisti di raffigurare gli spettacolari trionfi della cristianità sugli infedeli, come la memorabile battaglia navale di Lepanto del 1571, che segnò una svolta storica con la grande vittoria sui Turchi, divenendo ripetuto motivo iconografico pregno di valenza devozionale, replicato più volte per interessamento dell’ordine domenicano, devotissimo alla Madonna del Rosario, la quale seguiva benevolmente le vicende terrene dall’alto dei cieli.

Altri temi cari alla Chiesa nell’ambito del genere furono ricavati dall’Antico e dal Nuovo Testamento, quali la Vittoria di Costantino a ponte Milvio o il San Giacomo alla battaglia di Clodio, argomenti trattati magistralmente da Aniello Falcone, che fu il più preclaro interprete della specialità, “Oracolo” riconosciuto ed apprezzato, sul quale ha scritto pagine insuperate il Saxl nella sua opera Battle scene without a hero, una acuta ricerca che non ha trovato l’eguale nell’analisi di altri grandi battaglisti del Seicento, quali Salvator Rosa o Jacques Courtois, detto il Borgognone.

A Napoli fu molto diffuso il sottile piacere della contemplazione delle battaglie presso masochistici voyeurs, che prediligevano circondarsi, non di procaci nudi femminili dalle forme aggraziate ed accattivanti o di tranquilli paesaggi, né di severi ritratti o di languide nature morte, bensì di gente che si azzuffava a piedi o a cavallo, usando spade sguainate ed appuntiti pugnali, dando a destra e a manca terribili fendenti “in ariosi e fumosi, sereni o temporaleschi, pianeggianti o collinari scenari, ideali comunque per tali bisogne” .

Cominciamo illustrando un’opera(fig. 1) di Francesco Graziani, detto Ciccio Napoletano, un battaglista minore attivo tra Napoli e Roma nella seconda metà del XVII secolo. Egli probabilmente è originario di Capua perché in alcune fonti è ricordato come Ciccio da Capua. E poco noto al De Dominici, il quale non è certo se egli fosse il padre o un parente di Pietro Graziani, battaglista attivo nei primi decenni del XVIII secolo. Filippo Titi in una sua guida delle chiese romane cita due suoi quadri, ma oggi è visibile solo quello conservato nella cappella Cimini di Sant’Antonio dei Portoghesi, databile al 1683.

Gli inventari della quadreria Barberini, redatti nel 1686, accennano a suoi quadri di battaglia e di marine, ma oggi non sono più identificabili.

Il Salerno, studioso dell’artista ed estensore della scheda nel catalogo della mostra sulla Civiltà del Seicento a Napoli, gli assegna poche opere certe: due battaglie nel museo civico di Pistoia e quattro nel museo civico di Deruta, una delle quali porta sul retro della tela l’attribuzione del Pascoli «del Graziani eccellente pittore».

Alla mostra furono presentati come autografi due paesaggi della Galleria Doria Pamphily, in precedenza assegnati ad un ignoto seguace del Dughet.

Tra gli antiquari napoletani è facile trovare delle tele, spesso di piccolo formato, ed a volte dipinti su rame, che possono ragionevolmente essere assegnati al Graziani, ma purtroppo la critica fa ancora molta confusione rispetto all’opera di Pietro Graziani e di un altro pittore, stilisticamente vicino ed ancora da identificare.

Nel quadro in esame si può apprezzare lo stile di Francesco Graziani, tagliente, con le figure dei soldati e dei cavalieri appena abbozzate; il cielo sovrasta le battaglie, incombendo pesantemente con un cromatismo plumbeo di un rosso caliginoso, che sembra partecipe dello svolgersi tumultuoso degli avvenimenti.

Esaminiamo ora tre tele di Andrea De Lione

Andrea De Lione, vissuto a Napoli dal 1610 al 1685, fu un versatile narratore di battaglie senza eroi, di cavalieri all’assalto o in ritirata, di scene profane immerse in una natura selvatica e primordiale, eppure già classicizzata. Egli si formò negli anni ’20 nella rinomata bottega di Aniello Falcone – insieme con Salvator Rosa, Micco Spadaro e Carlo Coppola – dal quale apprese il gusto delle battaglie e l’attenzione naturalistica al mondo popolare. Nel corso degli anni ’30 i suoi occhi avidi e rapaci furano catturati dal linguaggio umile e popolaresco dei bamboccianti romani, poi dai preziosi cromatismi e dal denso pittoricismo del genovese Benedetto Castiglione, detto il Grechetto, infine dalla composta classicità di Poussin, intrisa di ricordi tizianeschi e veronesiani. Andrea De Lione possiede la giusta collocazione nel panorama artistico napoletano del Seicento e lo pone alla pari del suo maestro Aniello Falcone, sotto il cui nome sono passate a lungo le sue battaglie. Insigne battaglista, ma anche maestro di scene bucoliche, come lo definì Soria, ispirato agli esempi del Castiglione e del Poussin ed in grado di realizzare composizioni dai colori brillanti e dal vivace dinamismo. Al Grechetto va ricondotta l’atmosfera preziosa e delicata in cui sono campiti e messi insieme i colori, inseguendo un gusto raffinato, mentre al francese si deve l’impostazione classica e severamente di profilo dei volti, oltre all’impaginazione ed al paesaggio idealizzato degli sfondi.

Ad illuminare i rapporti tra il De Lione e il Grechetto interviene, poi, il San Giorgio e il drago(fig. 2 ), autentico prelievo da una scena di battaglia, che nei riflessi argentei dell’armatura e nel rosso brillante della tunica del santo sembra richiamare la Presa degli armenti del Grechetto, oggi a Capodimonte. Ma la rappresentazione del santo come un milite romano, con i calzari, la corazza e l’elmo piumato, tradisce una indispensabile ispirazione a Poussin, allora considerato l’«exemplum romanitatis».

Nel San Giorgio e il drago (fig. 2) e nell’altro dipinto di analogo soggetto, di collezione privata fiorentina, con leggere varianti,(da me pubblicato nella monografia sull’artista(pag. 16, fig. 27) non si respira aria di battaglia, ma sono presenti tutti gli ingredienti della stessa, dal cavallo rampante al guerriero con la lancia, anche se il nemico è rappresentato da un drago che vomita lingue di fuoco. Nel paesaggio terso, caratteristica delle tele bucoliche, descritta magistralmente dal Soria:”The lightness and the featherly nature of the slender trees”. Ed è proprio il paesaggio, che sembra sospeso fuori dal tempo ed i preziosi accordi cromatici, a datare i due dipinti a ben dopo il decisivo incontro col Grechetto.

Il poderoso destriero pezzato sul quale monta il prode Giorgio, si impenna nel tentativo di intimorire il perfido drago, mentre la principessa Silene sembra rassegnata alla morte imminente.

Notevoli sono i due pendant (fig. 3- 4) transitati presso la Finarte di Roma nel giugno del 1981, pubblicati prima dal Sestieri nella sua monumentale monografia sulle Battaglie (pag. 317 – Roma 1999) e poi nel 2001 dal Pacelli, che ne sottolineava l’impianto luministico freddo derivante dagli esempi del Rosa fiorentino ed assegnava i due dipinti alla fase matura dell’artista, per finire poi nella mia monografia sul pittore (Andrea De Lione insigne battaglista e maestro di scene bucoliche, (pag. 16, tav. 32 – 33, Napoli 2011).

Una vera sorpresa il dipinto di Carlo Coppola(per il quale rinvio sul web al mio saggio monografico) una Battaglia tra cristiani e turchi (fig. 5 ) nella quale possiamo intravedere alcuni segni certi di autografia nella lucentezza metallica delle armature, nelle fisionomie inconfondibili dei cavalli e nelle eleganti e corpose code, che si aprono prosperose a ventaglio. Si tratta di un’opera giovanile, sconosciuta alla critica, nella quale si palpa l’aderenza ai modi tardo manieristici di un Belisario Corenzio o di un Onofrio De Lione, come in altre opere del Coppola quali lo Scontro di cavalieri, siglato o l’Assalto ad un castello con trombettiere.

Una tela quasi identica(fig. 6) partecipò nel 2008 alla mostra Pugnae (catalogo,pag. 38 – 39) ed è pubblicata sulla mia monografia (pag. 43 – tav.21)

Come sempre i combattimenti vengono rappresentati con grande accanimento, con le urla di dolore e di rabbia dei contendenti che sembrano travalicare dalla superficie della tela, per farci sentire il gemito dei feriti e dei moribondi.

Mischie furiose con l’odio che sgorga dai volti corrucciati, cavalieri che si inseguono, bardati guerrieri in groppa a focosi destrieri, morti e feriti, bestemmie e gemiti e spesso anche le nuvole grigio scure e cariche di pioggia, che annunciano tempesta e sembrano partecipare dell’aria funesta che ovunque si respira.

 

Achille della Ragione

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