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Calcio e coronavirus: Ci preoccupiamo di cose paurose non di quelle pericolose

Mi sono svegliata con un fastidioso dolorino alla spalla sinistra. Cosa sarà? Non ho sollevato pesi, quindi escludo la  contrattura muscolare… Ma allora che cosa potrebbe essere? Prendo il cellulare e il dito sfiora l’ultima app che ho scaricato… pochi clic e scopro che il dolore potrebbe essere dovuto all’infiammazione di un tendine della spalla, a meno che si tratti di fibromialgia… però in effetti quando faccio uno sforzo peggiora, quindi potrebbe essere la spia di un infarto imminente

A questo punto i sintomi si moltiplicano, la “diagnosi virtuale” è pronta, e l’ansia vola. Sarà capitato anche a voi. Basta digitare su un motore di ricerca qualche segno di malessere per vederlo trasformato in un campanello d’allarme di malattie incurabili. Chi vive ogni giorno con il terrore di ammalarsi, e in Italia si stima siano 10 milioni di persone, consulta continuamente Internet per dare un nome alle proprie malattie. Oggi questi ipocondriaci a tempo pieno possono contare anche su tutto quello che sta provocando l’ansia del coronavirus, C’è poco da fare: il coronavirus fa paura.  La paura è come la sirena dell’ambulanza che suona dentro di te. La senti e ti avverte che qualcosa di grave sta per succedere. Bisogna correre all’ospedale per evitare che le cose precipitino.

Il coronavirus, oggi, fa suonare tutte le sirene d’allarme del mondo. Ne parlano in continuazione alla televisione. Ci sono adulti più tranquilli, altri in ansia, altri molto spaventati: e poi c’è gente con i nervi saldi che sta lavorando giorno e notte per combattere questo rischio. Purtroppo hanno cancellato le gite scolastiche. Non si fanno più gli allenamenti sportivi. Sembra di stare in guerra, ti viene da pensare. E così provi una paura difficile da addomesticare. Non posso togliertela quella paura, ma posso dirti che, mentre è giusto sentire l’allarme per qualcosa che ci minaccia, allo stesso tempo dobbiamo imparare a prendere le cose nella giusta misura e per quello che sono.

Il mondo del calcio si chiude dentro lo stadio (ma continua a giocare) ed è costretto a cambiare radicalmente le sue abitudini. E’ un calcio stravolto dall’emergenza Coronavirus, ma finalmente consapevole della serietà del problema e pronto ad affrontarlo, in campo e fuori. La password per entrare in questa bolla è «distanza». Sarà un calcio più lontano. Tutto più sterile, tutto più disinfettato, tutto più asettico. Meglio evitare un inutile spargimento di goccioline di sudore contagioso.

Batterà comunque un cuore sotto la maglietta del campione, ma lo ascolteremo solo in dolby surround, comodamente seduti sul divano di casa. Le partite le vedremo alla tivù, a distanza di sicurezza. La stessa distanza che, verosimilmente, dovranno mantenere anche i giocatori non tanto durante i 90 minuti della partita perché quando il gioco si fa duro inevitabile è il contatto, quanto prima e dopo.

Niente strette di mano al fischio d’inizio. I giocatori si diranno «in bocca al lupo» osservando il «Droplet». Niente abbracci dopo il gol. Cristiano Ronaldo festeggerà per conto suo, con i compagni distanti, magari rivolgendosi direttamente alla telecamera (ma non troppo vicino). Niente incitamenti condivisi, bandite quelle scene in cui il gruppo si mette in cerchio e si carica. Ci saranno , crediamo,  anche meno «incontri ravvicinati del terzo tipo», quelli che tante volte abbiamo visto nei momenti più focosi della partita. Sparirà l’immagine del centravanti che dopo un tackle particolarmente duro affronta a muso duro l’avversario. Anche no, suvvia.

Ora c’è l’ufficialità delle disposizioni governative in merito all’emergenza sanitaria: Serie A porte chiuse fino al 3 aprile. La FIGC, fin qui inquinata da polemiche e beghe da cortile che l’hanno esposta a colossali figuracce, si è adeguata. Il ministro dello sport Spadafora ha avvisato: «Lo sport continui con le dovute cautele». L’ad dell’Inter Beppe Marotta ha spiegato a nome di tutti i colleghi: «Giocare senza pubblico è l’unico strumento per portare a termine il campionato». Fissate le partite di questo week end. C’è l’ufficialità della Lega Calcio. Sabato 7 marzo Sampdoria-Verona (ore 20.45), domenica 8 marzo Milan-genoa (12.30), Parma-Spal e Sassuolo-Brescia (15.00), Udinese-Fiorentina (18.00) e la tanto attesa sfida-scudetto Juventus-Inter (20.45).

Nel frattempo ai club di Serie A è arrivato un vademecum con 21 norme igienico-sanitarie, stilato dalla FMSI (Federazione Medici Sportivi Italiana). Sono regole improntate al buonsenso. Ai giocatori viene chiesto di non bere dalla stessa bottiglietta, di non buttare le maglie sudate nella stessa cesta, di lavarsi le mani con frequenza, di non toccarsi bocca, occhi, naso. Tutti i club provvederanno a monitorare quotidianamente la temperatura dei calciatori e dello staff tecnico. Sono misure preventive al fine di evitare il contagio che valgono in «orario di lavoro», cioè all’interno dello spogliatoio. Ce ne sono altre più attinenti alla vita sociale del calciatore.

I club hanno infatti vietato ai vari Cristiano Ronaldo e Immobile di fermarsi con i tifosi per i consueti selfie e autografi. Hanno sconsigliato ai vari Ibrahimovic e Dzeko di frequentare nel tempo libero luoghi affollati come cinema, ristoranti e locali. Hanno proibito ai vari Donnarumma e Chiesa di presenziare a feste o premiazioni. Il risultato sarà quello di allontanare ancora di più il campione dall’appassionato. E il calcio somiglierà, almeno per il periodo dell’emergenza, ad una sorta di playstation, in una elaborazione grafica della vita vera, in attesa che tutto , persino il pallone che rotola , torni alla normalità.

Perchè in fondo si sa, i panici collettivi vanno e vengono. Passerà perché le persone prima o poi si stancano.

 

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