Approfondimenti

Come comunica il mondo dell’Università

di Agata Piromallo Gambardella*

Fino ad alcuni anni fa s’inseguiva il sogno di fare di Napoli la capitale della cultura ovvero di quella tradizione culturale che ha avuto nel Mediterraneo il suo epicentro. Il sogno, come si sa, è svanito.

Le radici culturali di Napoli sono profonde e antichissime, ma oggi appaiono spezzate e non più in grado di alimentare e far crescere le forze migliori della città. Il napoletano è creativo e individualista; ma queste qualità, trasposte nell’ambito della gestione della cosa pubblica, spesso finiscono per dar luogo a una serie di iniziative, slegate tra loro, che, in qualche caso, generano inutili doppioni (pensiamo ai tre Musei di Arte contemporanea) i quali drenano, però, risorse pubbliche e private.  Una persona, mediamente colta, rischia di disperdersi nelle offerte continue e massicce di conferenze, tavole rotonde, dibattiti, tentativi di recupero del centro storico: tutte iniziative che, partite da un’idea nata per caso e purtroppo lasciata al caso, spesso servono a soddisfare soltanto il narcisismo di chi le propone. La quantità dell’offerta spesso non riesce a trasformarsi in una adeguata qualità del prodotto. Quando ciò, miracolosamente, accade, come nel caso dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici che per anni ha tenuto alto il nome di Napoli in tutto il mondo, viene d’un tratto misconosciuto e non più supportato economicamente, nella logica perversa delle elargizioni a pioggia che devono accontentare tutti (e forse nessuno).

I criteri di selezione che dovrebbero presiedere a ogni seria pianificazione culturale sembrano non potersi attuare in una realtà come quella napoletana dove, tra l’altro, la mentalità clientelare prende il sopravvento fino al punto estremo di stravolgere lo stesso habitat urbano. A ciò si aggiunge, inoltre, il degrado del nostro patrimonio artistico-culturale che, salvo qualche sporadica iniziativa privata, sembra votato a scomparire anche dalla memoria collettiva. Oggi, infatti, molti giovani ignorano perfino l’esistenza di pezzi significativi del nostro patrimonio urbano.

Il problema di fondo è essenzialmente educativo. Ed è in questa ottica che si vuole avanzare la proposta di rilanciare il ruolo delle Università.

In che senso?   Pensiamo all’importanza che esse avevano nel Medioevo come punti nevralgici intorno a cui si elaboravano vere e proprie strategie di salvaguardia del territorio e d’intervento politico in senso alto.  Se si ritornasse a fare delle Università il centro di diffusione non solo di idee ma di progetti, si avrebbe l’opportunità di trasformare più rapidamente i nostri giovani da studenti in cittadini consapevoli. I dibattiti, gli incontri, le tavole rotonde, i forum di vario genere dovrebbero allora avere soprattutto nelle Università i loro centri propulsori e negli studenti gli interlocutori ideali.

Le Università napoletane, inoltre, occupano spazi di grande interesse storico-paesaggistico: dai magnifici chiostri della Federico II, voluta dallo stesso imperatore svevo, ai maestosi edifici dell’Università Orientale, nata dall’antico Collegio dei Cinesi, ai nuovi insediamenti della Università Partenope, protesi sull’incanto del golfo. Per terminare con l’Università Suor Orsola Benincasa, dichiarata di recente dall’Unesco patrimonio dell’umanità. E proprio da Suor Orsola ci viene un esempio concreto di come l’Università possa interagire con il territorio attraverso uno scambio di esperienze che coinvolgono le forze migliori della città.

Creare un legame organico e costante tra Università e territorio significa rafforzare il ruolo di entrambi nella ricerca e nella realizzazione del cosiddetto bene comune. Ma ciò richiederebbe il verificarsi di due condizioni:

  1. la consapevolezza da parte delle forze politiche dell’urgenza di far confluire verso le Università il maggior numero di risorse possibili, impedendo che esse vadano disperse in mille rivoli che non riusciranno mai a diventare un fiume. In un momento in cui emerge una certa disaffezione nei riguardi della istituzione Università, soprattutto da parte delle famiglie che non vedono più nella laurea un accesso naturale al mondo del lavoro, è proprio dalle forze politiche operanti sul territorio che deve partire il suo rilancio. Meno laureati significa meno idee che circolano e quindi un impoverimento del tessuto sociale anche in termini di progettualità;
  2. un’offerta culturale concreta e variegata da parte delle Università la quale s’inserisca, naturalmente, nel curriculum degli studenti e dia loro quegli ulteriori stimoli necessari alla loro crescita e quelle sollecitazioni politiche in senso lato che possano orientarli nella costruzione del loro futuro. Non parole al vento, dette per ricevere consensi a buon mercato, ma proposte che non siano solo manifesti da mettere in vetrina.

In altri termini, malgrado le critiche, talvolta anche condivisibili, volte al sistema università, esso resta, per ora, l’unico terreno di coltura in grado di far crescere nei giovani quella autoconsapevolezza che li renda capaci di gestire seri spazi di riflessione e di confronto.

 

*Docente UNISOB di Teoria e tecniche della comunicazione

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