Officina delle idee

Come e perché mi iscrissi al PCI

Correva l’anno 1947 e avevo sedici anni e mezzo. Frequentavo la terza C del liceo scientifico “V.CUOCO” allora unico a Napoli Studiavo con regolarità e sopratutto col piacere di conoscere cose nuove. Avevo la fortuna non usuale di avere un gruppo di professori di alto livello : Francesco Maone per italiano e latino, comunista e leader della Federbraccianti, morto facendo un comizio, De Martino anarcoide liberale per storia e filosofia, il classico intellettuale bravissimo ma inadatto alla vita pratica, Vincitorio per matematica e fisica, fascista convinto ma bravissimo nella sua materia. Mi aspettavo di essere promosso e decisi che in caso di promozione mi sarei fatto un regalo visto che nella mia famiglia non usava . Mio padre, uomo intelligente e scevro da smancerie diceva che fra me lui c’era un patto: Egli avrebbe lavorato per mantenermi a scuola di io avevo quello si studiare impegnandomi al massimo delle mie capacità Un eventuale risultato brillante era l’esito di quel patto e non c’era niente da festeggiare.
Aveva ragione ed io ero d’accordo. Niente impediva però di auto-premiarmi . Così decisi che, per premi, mi sarei iscritto al Partito Comunista.
Lo so, lo so, già vedo il sorriso di compatimento di qualche cinico “saputo” che disprezza la politica. Gesù, – starà dicendo il sullodato saputo – Ernè ma come eri fesso!
Il cretino non sa cosa si è perso. In quegli anni difficili gli italiani avevano scoperto il gusto della libertà e nella battaglia politica i comunisti erano i più attivi. Li avevo conosciuti nel 1943 durante l’occupazione nazista di Roma in circostanze avventurose che vi racconterò un’altra volta. In casa l’aria era di sinistra: I miei avevano votato per la Repubblica e per il PCI alla costituente.In casa mia giravano “La Voce” e L’Unità. C’era una lunga storia di antipatia per il fascismo perché i fratelli di mio padre, marittimi, andavano e venivano dagli USA e ci raccontavano della democrazia americana. Insomma una serie di circostanze “favorevoli” spiegavano la mia scelta. Incontrai subiti un ostacolo. Lo statuto de partito prevedeva per l’iscrizione un limite di età a 18 anni . Mancavo di questo requisito. Però ero conosciuto nel quartiere perché spesso intervenivo nei “capannelli”: una forma di assemblearismo diretto che allora animava le strade della città. Bastava che due si fermassero, ad esempio, a commentare un manifesto che subito c’erano interventi dei passanti. Si formava un “capannello” di persone al cui centro c’erano i campioni sostenitori di tesi opposte con le più erudite o fantasiose argomentazioni. In quelle circostanze ero a mio perfetto agio con la mia sveltezza di linguaggio e la verve con la quale contestavo quelli che dicevano: Ma tu sei un ragazzo cosa ne vuoi capire?
Allora abitavo all’angolo di Forcella e la sezione di riferimento era la sezione Pendino i cui balconi si affacciavano di fronte a Palazzo Marigliano. Feci la mia domanda di iscrizione, ma i compagni restarono perplessi. Riunirono il direttivo e fui giudicato davanti a quel singolare Sinedrio. Quelli che mi conoscevano per avermi visto all’opera perorarono la mia causa. Il direttivo decise di derogare dallo statuto e mi iscrissero. Conservo ancora quella tessera .Entri così in una comunità politica che andava dai sottoproletari dei vicoli agli operai delle industrie del porto, dai funzionari RAI (allora al Rettifilo) alle agguerrite donne della Manifattura tabacchi di San Pietro martire (ora c’è la facoltà di lettere) Avevamo perfino una “Cellula Università” composta dai dipendenti dell’Università il cui segretario si chiamava (nomen omen) Scioperi , un dignitoso signore col baffo sbarazzino e sempre vestito in giacca e cravatta. Qualche medico generoso completava la compagnia Il mio primo segretario fu un professor De Theo, filosofo, poi ebbi Peppino Santorelli, barbiere autodidatta dalla ampia e confusionaria cultura amante dei giacobini e dell’89. eravamo una comunità affiatata le cui avventure furono troppe per inserirle in questo racconto. Una cosa è sicura: tutto il quartiere ci conosceva. Sopratutto i monarchici con i quali non mancarono momenti di violento scontro fisico. Dovrà decidermi a raccontare in modo più ampio quelle esperienze sperando che in esse i giovani trovino una motivazione per ritrovare una passione politica che ti riempia la vita come successe a me senza impedirmi di essere giovane e di fare tutte le cose belle e le sciocchezze che un giovane deve fare per diventare uomo.

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