Economia e Welfare

Coronavirus: l’Italia si prepara a misure sempre più drastiche

E’ molto chiara la riflessione di Attilio Fontana, governatore della Lombardia, che chiede al Governo la chiusura totale del Paese. Bisogna abbassare le serrande ovunque, tranne che nei supermercati, nei negozi di alimentari, nelle farmacie, nelle aziende che producono e forniscono energia, nelle sedi di giornali e telegiornali.

Serve – e ci mancherebbe altro – garantire ai cittadini i servizi essenziali senza che il panico o un clima da guerra peggiorino la situazione e creino ulteriori problemi. Ma serve garantire anche la salute a tutti e tenere in piedi un sistema sanitario sull’orlo del collasso.

L’orientamento di Giuseppe Conte è quello di valutare seriamente questa indicazione, espressa ieri, tra l’altro, al premier dai leader dell’opposizione durante un incontro a Palazzo Chigi. Il Presidente del Consiglio potrebbe approvare in giornata un decreto che modificherebbe il colore arancione di cui è tinto tutta l’Italia da lunedì sera trasformandolo in rosso.

Conte avrebbe pensato, in primis, di concedere alle Regioni la possibilità di gestire autonomamente le misure restrittive nel proprio territorio, ma non vuole che ciascuno faccia di testa sua uscendo da una «cornice nazionale». Qualsiasi decisione, insomma, deve essere presa in accordo con il Governo.

Sarebbero almeno sei le Regioni a favore di misure più drastiche, e non per forza dello stesso colore politico. Oltre alla Lombardia del leghista Fontana, c’è l’Emilia Romagna di Stefano Bonaccini che ha già attuato qualche provvedimento in più, come la sospensione di bar e ristoranti durante il fine settimana e la chiusura dei mercati, tranne i banchi alimentari. E poi ci sono Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e persino il Lazio del segretario dem Nicola Zingaretti a promuovere il pugno di ferro. Lo stesso proposto ieri al premier dai leader di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia. A queste sei si potrebbero accodare il Veneto di Luca Zaia e la Toscana.

A far tentennare Conte, da una parte il no di Confindustria e, dall’altra, il rischio di una rivolta sociale. Il timore, insomma, che il Paese si faccia prendere dal panico con conseguenze difficili da gestire. I recenti – ingiustificati – assalti ai supermercati ne sono stati un segnale. Se il semaforo dovesse passare dall’arancione al rosso e fermasse tutto per 15 giorni, non tutti dimostrerebbero di avere la pazienza – necessaria per il bene di tutti – di aspettare che la circolazione riprenda con normalità.

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