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Crollo alla Riviera di Chiaia, quando gli interessi economici offuscano il giudizio

Sono passati due anni dal 4 marzo, data in cui Palazzo Guevara alla Riviera di Chiaia è crollato. Due anni e il palazzo si trova ancora nella stessa situazione. All’epoca si decise di far evacuare anche gli abitanti degli edifici limitrofi per motivi di sicurezza. L’intera zona era, infatti, in pericolo e probabilmente lo è tutt’ora. Solo pochi mesi fa è stata riaperta la parte della Riviera, che era stata chiusa a causa dell’incidente. Gli abitanti degli altri palazzi sono, quindi, rientrati nelle loro case. Palazzo Guevara, però, è ancora lì in attesa di essere messo in sicurezza e tornare a essere un edificio normale.
Intanto, però, il giudice Marialuisa Arienzo, incaricato del caso, ha deliberato il suo atto di accusa, secondo cui l’Ansaldo, azienda che si occupa dei lavori della metropolitana napoletana e, il Comune, sono obbligati a mettere, subito, in sicurezza Palazzo Guevara. L’ordine è rivolto a loro, in quanto, secondo l’atto di accusa, entrambi gli enti erano a conoscenza del rischio, che comportava la continuazione di quei lavori. «Sulla scorta- si legge dall’atto dell’Arienzo – della consapevolezza delle varianti approvate al progetto esecutivo e delle criticità emerse in fase realizzativa, erano in grado di apprezzare l’indefettibilità dell’intervento d’intasamento del terreno e tutti, invece, deliberatamente decidevano di ometterlo, concludendo con scellerata determinazione, assunta nella riunione del 25 febbraio 2013 per l’immediata ripresa dei lavori, provocando con tale condotta omissiva, il fenomeno dannoso, che non a caso si verificava nel primo giorno d’inizio dei lavori rimasti sospesi, a seguito dell’allarme destato dal precedente episodio del gennaio 2013». Riferendosi in questa data, all’episodio del cedimento del pavimento di un’attività commerciale della zona.
Il giudice ha poi continuato imputando ai due enti, un’accusa ancora più grave: «La valutazione dei lavori di committenti ed esecutori, infatti, “fu negligentemente condizionata da prevalenti interessi di natura economica, essendo in contestazione tra le parti il rispetto dei reciproci obblighi contrattuali e, in definitiva, su quale soggetto, tra essi dovesse ricadere definitivamente il costo economico del consolidamento jet grouting». Secondo la dottoressa Arezzo, quindi, una simile catastrofe sarebbe stata evitata, se Comune e Ansaldo avessero evitato di tutelare i loro propri interessi economici. Diversi episodi, avvenuti nel mese precedente al crollo, erano chiaramente un’avvisaglia, che qualcosa si stesse muovendo in modo anomalo.
Gli interessi economici, a quanto pare, offuscarono completamente la capacità di giudizio delle persone interessate. Nessuno nell’entourage dell’Ansaldo o del Comune pensò di bloccare i lavori e studiare a fondo una soluzione. Si pensò a preservare “il vile danaro” piuttosto che l’incolumità degli abitanti della zona.
L’ordinanza del giudice Arienzo, formalizza, quello che fino ad oggi era stato detto a gran voce da associazioni cittadine e cittadini stessi. Cosa dovrebbe dire adesso l’opinione pubblica? Cosa dovrebbe pensare? Difficile credere che dei professionisti non capirono che c’era qualcosa che non andava. Tutti hanno preferito chiudere gli occhi e scongiurare, che non accadesse nulla di grave. Qualcosa di grave, però, è accaduto, un palazzo è crollato e, miracolosamente non ci sono state né vittime né feriti, in un’incidente che sarebbe potuto essere una vera e propria tragedia. La mancanza di vittime da piangere, di certo, non rende tutta questa vicenda meno grave. Quella totale mancanza di giudizio, annebbiata completamente da bassi interessi economici, deve essere “perseguita”, affinché i responsabili di quel crollo paghino e, i cittadini, finalmente, possano essere sicuri che tutti i cantieri delle metro, sparsi per la città, non causeranno più simili incidenti.

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