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DA ATENE, STORIE DI SOLIDARIETÀ VERSO I MIGRANTI, TROPPO SPESSO BISTRATTATI E CONSIDERATI UN PESO

«Abbiamo preso una decisione: stiamo dalla parte della vita». Inizia così il racconto di Joaquin, un ragazzo spagnolo. Ha deciso, come tanti altri, di lasciare il proprio mondo per trasferirsi in Grecia, collaborando come volontario con l’Ong “Proactiva Open Arms” che nasce – così come dichiarano- «dal non poter più accettare il senso di impotenza». Dai social, ci restituiscono, con le immagini, il resoconto dettagliato di un dramma che si rinnova ogni singolo giorno. Vivono attaccati a binocoli, allerte ed attese, scrutando l’ orizzonte di un mare che non è più poesia, ma sfida e dolore. Nonostante tutto, contano i “salvi”, quelli che ce l’hanno fatta, mentre una processione di numeri inghiottita dalle onde, continua a non fermarsi. Ispezionano le acque fredde dell’Egeo, alla ricerca dei migranti: vivi. Li aspettano, soccorrono, ristabilizzano. A volte, riportano a riva i corpi esanimi che riemergono all’improvviso o si incastrano tra gli scogli, come quello di pochi giorni fa, di un bambino di 3 anni attaccato al suo ciuccio.

«Attualmente – dichiara Joaquin – lavoriamo per lo più sulla costa settentrionale, tra Molyvos e Tsonia, anche se stiamo cercando di raggiungere quanti più punti possibili dell’isola di Lesbo ed alcuni nostri volontari si sono stabiliti a Chios. Siamo una equipe di bagnini, ma ci sono anche altre figure professionali, quali medici, infermieri, capitani. Abbiamo una barca preposta per il salvataggio, pronta tutti i giorni, a partire dalle 5 del mattino, ora in cui inizia anche il nostro “turno” che purtroppo non ha una fine. Arrivano dalle 30 alle 50 imbarcazioni al giorno, strapiene di gente disperata, affamata ed impaurita. Noi, affianchiamo i loro gommoni fatiscenti, trasbordiamo bambini, neonati ed anziani sui nostri mezzi sicuri, tra urla e pianti. Recuperiamo quelli caduti in mare: una fredda fossa comune. Ad aspettarci, una squadra di terra con la quale comunichiamo tramite telefoni e radio, pronta a dare prima accoglienza e a rianimare persone, molto spesso, soprattutto in questi mesi, semi-assiderate». Vivono ormai in Grecia da settembre, da quando, Oscar Camps dà vita in Spagna all’associazione, e si sostengono tramite una raccolta fondi on line. Con le donazioni private, fino ad ora, hanno potuto acquistare una motovedetta, 3 gommoni semi-rigidi e attrezzatura, ma la drammatica situazione continua e con i soldi a disposizione, la loro presenza potrà essere garantita fino a marzo. Le “braccia aperte” di questi eroi, hanno salvato in 4 mesi di attività circa 120.000 persone. E a mollare non ci pensano proprio.

Joaquin parla con naturalezza della sua scelta che pare quasi essere inevitabile. Obbligato da una coscienza che non ce la fa a girare lo sguardo. «Io so- ripete più volte- che se non mi sveglio potrebbero esserci persone che moriranno». Lancia un appello al mondo intero, chiede di aiutare chi scappa dalla guerra e dalle bombe a ricostruirsi e a trovare una seconda possibilità, ma chiede supporto ai popoli, piuttosto che ai politici. Joaquin è testimone di un’emergenza che non ha paragoni, di una tragedia che si ripete di volta in volta con la stessa brutale intensità. Sui volti di chi assiste si legge la paura dell’incertezza e la sorpresa di non essere affogati. «Ormai piango solo per i vivi. E’ come se la morte non mi colpisse più».

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