Cultura

«DOC – Nelle tue mani»: perché Luca Argentero è il nostro Dr. House

Ci rendiamo conto che per i puristi il paragone potrebbe essere esagerato, addirittura stridente, ma è chiaro che DOC -Nelle tue mani, la nuova serie tv realizzata da LuxVide in collaborazione con Rai Fiction, nutra nei confronti di David Shore, ideatore di serie come Dr. House e The Good Doctor, un debito molto più alto di quanto non si possa pensare. Non parliamo solo di un protagonista geniale, di un medico misantropo a cui basta una manciata di secondi per individuare la patologia rarissima di un paziente in cura, ma anche di una serie di elementi di contorno che sono tutto fuorché secondari: le riprese, il montaggio, le corsie avveniristiche di un ospedale di ultima generazione e un team di lavoro che in un momento è complice e nell’altro è traditore.

Tutte sfaccettature che il pubblico riconosce immediatamente e che rendono DOC un prodotto perfetto per essere esportato all’estero, talmente curato nella confezione da pensare di essere stato girato in America.

Ma se ci spingiamo oltre i richiami a Shore e pure un po’ a Sherlock – i primissimi piani e il montaggio rapido ogni volta che il protagonista cerca di formulare la diagnosi lo confermano – la cosa che rende la serie unica è un espediente che potrebbe sembrare un artificio ben congeniato, ma che è in realtà il motore stesso di tutto: la storia di Andrea Fanti è, infatti, ispirata a quella vera di Pierdante Piccioni, il primario dell’ospedale di Lodi che, dopo un coma di appena 6 ore, si è accorto di aver dimenticato gli ultimi 12 anni della sua vita. La perdita di memoria selettiva, per certi versi, è ancora più annientante di quella totale: improvvisamente il dottore scopre che sua moglie e i suoi colleghi sono invecchiati, che i suoi figli, che ricordava bambini, sono ormai adulti e che, nel frattempo hanno inventato il Telepass e l’euro ha preso il posto della lira. Il senso di smarrimento e la lenta ricostruzione di questo buco temporale Piccioni l’ha raccontata bene in due libri, Pronto soccorso – Storie di un medico empatico e Colpevole di amnesia, scritti insieme a Pierangelo Sapegno e materiale primario per costruire DOC – Nelle tue mani. Al di là dello spostamento temporale – la serie, infatti, parte nel 2020 e non nel 2013 come la storia di Piccioni -, a colpire è che i tratti di quel disorientamento, di quel distacco emotivo e personale, vengono resi senza cavalcare l’onda del pietismo e dello scandalo.

Luca Argentero è bravissimo a farsi portavoce di questo senso di vuoto, circondato da colleghi che in reparto lo salutano ma di cui lui ignora l’identità e abbracciando una figlia ormai grande che per lui è una completa estranea. La scena in cui si guarda la prima volta allo specchio scoprendosi più anziano, con più rughe e con la barba leggermente spruzzata di bianco, è sicuramente una delle più riuscite della serie, insieme alla verve che lo rende straordinariamente credibile nel ruolo del medico antipatico che, così come Gregory House e Shaun Murphy, sarà anche geniale, ma pure un po’ ruvido e scorbutico. E se per buona parte delle prime due puntate non sai se dargli uno schiaffo o chiedergli di sposarti, è altrettanto chiaro che stavolta Raiuno e LuxVide hanno fatto centro: era da tempo che non si vedeva un medical drama così appassionante e così ben costruito. La cosa brutta, però, è che per vedere il finale dovremo aspettare l’autunno: a causa dell’emergenza coronavirus, infatti, le riprese sono state interrotte prima del tempo. Ragione per cui vedremo i primi quattro episodi adesso, a cavallo tra marzo e aprile – il primo ha tenuto incollati 7.100.000 spettatori pari al 26.10% di share –, e gli ultimi quattro a data da destinarsi. Ed è un peccato: soprattutto perché, dare uno sguardo in corsia in un momento storico nel quale i medici, gli infermieri e tutto il personale sanitario lottano per salvare più vite possibili dalla morsa del virus, poteva essere un modo come un altro per sentirli ancora più vicini.

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