Cultura

Donne che… persero la testa per il Re

di Carlo Fedele

Eleonora Pimentel (13 gennaio 1752), nasce a Roma da genitori portoghesi, ma a soli otto anni si trasferisce a Napoli con la famiglia. Donna di lettere, studia greco e latino, a 16 anni già fa parte di varie Accademie con diversi pseudonimi e stringe relazioni letterarie soprattutto con Pietro Metastasio ma anche con i maggiori letterati europei, da Voltaire a Goethe ed a Filangieri.

Compone romanzi di successo per le nozze di Re Ferdinando IV con Maria Carolina, e per la nascita del primo figlio maschio della coppia regale.

Infelice fu il suo matrimonio nel 1777 con Pasquale Tria de Solis, dal cui matrimonio nacque un bambino, morto due anni dopo, e dal quale si separò pochi anni dopo per maltrattamenti dell’uomo fino a rimanere vedova nel 1795.

Le vicissitudini familiari la portarono a dedicarsi sempre più profondamente negli studi, in primo luogo nelle difficili materie di economia e diritto pubblico.

Gli ideali della rivoluzione Francese la portano all’impegno politico. Diventa un’ardente giacobina e partecipa alla rivoluzione repubblicana del ’99. Nei giorni dei combattimenti si trova con gli altri patrioti nel castello di Sant’Elmo e finisce sui registri della polizia borbonica.

Il 5 ottobre del 1798 fu arrestata e portata nelle carceri della Vicaria. Riacquista la libertà nei primi giorni del 1799 durante il periodo di anarchia popolare succeduto a Napoli dopo la fuga del Re e della Corte a Palermo. Due giorni dopo la proclamazione della Repubblica Napoletana, il 23 gennaio 1799 in un elenco di nomi di persone sulle quali si poteva contare per gli uffici da istituire, viene fuori quello della Pimentel come giornalista della Repubblica napoletana.

Diventa direttrice e unica redattrice de <<Il Monitore>>, dalle cui pagine denuncerà, avvalendosi della libertà di stampa ma anche di una forte personalità coraggiosa, le ruberie perpetrate dagli stessi uomini di governo francesi.

Per coinvolgere la plebe per tutto ciò che riguarda la legislazione e i propri diritti, esorta a scrivere in dialetto e propone una gazzetta vernacola.

Quando il Cardinale Ruffo giunge a Napoli e quindi capisce che la Repubblica sta per morire, si rifugia in S.Elmo ma il Re Ferdinando non rispetterà la figura di quella giornalista capace di parlar male anche di amici quando fu necessario ed Eleonora sarà condannata a morte per avere osato parlare e scrivere contro il Re. Processata frettolosamente, fu riconosciuta rea di tradimento. Sale al patibolo il 20 agosto in piazza del Mercato. Il suo corpo restò per un’intera giornata alla vista dei popolani.

 

Luisa Sanfelice non rappresenta, come Eleonora Pimentel, il leader politico che cerca di costruire la storia.

Luisa Sanfelice (da nubile Maria Luisa Fortunata de Molino) nacque a Napoli il 28 febbraio 1764. Il padre, ufficiale spagnolo dell’armata di Carlo III, era arrivato a Napoli trenta anni prima. A 17 anni Luisa andò sposa ad Andrea Sanfelice, dal quale ebbe tre figli. A causa del tenore di vita troppo elevato condotto dai due coniugi, ben presto la famiglia si trovò in condizioni economiche disastrose e a nulla valse l’intervento di un tutore nominato dal re che tentò di amministrare le loro finanze.

Luisa frequenta indifferentemente ambienti monarchici e repubblicani, affascinata probabilmente dalla mondanità dei salotti e delle feste, è amata da tale Gerardo Baccher che sta tessendo una cospirazione antifrancese e volendo proteggerla, le consegna un salvacondotto. La donna però spiffera tutto a Ferdinando Ferri, magistrato filogiacobino e suo probabile amante, affinché si salvi. E Ferri infine, con Vincenzo Cuoco, denuncia tutto alle autorità repubblicane. La congiura è sventata e Baccher è tratto in arresto. Luisa, da un giorno all’altro, diventa un personaggio pubblico di prima grandezza, la salvatrice della patria repubblicana. Riconquistato il regno, il Sovrano fece arrestare la Sanfelice (Ferdinando IV che nel frattempo era riparato in Sicilia, scrive al Cardinale Ruffo: “Voglio che siano egualmente arrestati una certa Luisa Molines Sanfelice e un tal Vincenzo Cuoco che scoprirono la controrivoluzione dei realisti “). Nonostante il montare di un’opinione pubblica innocentista, Luisa fu condannata a morte dalla Commissione rivoluzionaria.

La condanna fu sospesa per alcuni mesi perché, per sfuggire alla morte, Luisa si finse incinta e i medici impietositi confermarono la gravidanza.

Nel frattempo, altri protagonisti di ben diverso spessore ebbero salva la vita, ma, a differenza loro, la Sanfelice per il Re era il simbolo del libertinaggio e non fece sconti. I motivi della sua condanna passano attraverso gli amori di Luisa, che non era di certo un leader politico.

L’ 11 settembre del 1800, puntigliosamente accertate le sue reali condizioni, la vita di Luisa verrà troncata sulla Piazza del Mercato.

 

 

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