Cultura

Donne e pubblicità: un argomento incandescente in alcuni casi

L’utilizzo del corpo femminile per commercializzare prodotti da sempre fa arrabbiare le femministe di ogni dove, e anche alcune provocazioni a cui abbiamo assistito negli ultimi anni hanno scatenato ampi dibattiti. Ricordiamo tra i tanti i cartelloni di una nota casa di abbigliamento parenopea in cui una ragazza diceva: “Sono Maddalena, faccio la escort e non sono una ragazza facile”, per non parlare della controversa pubblicita` di un’altra casa di moda, questa volta spagnola, dove in uno spot si mostra una ragazza che, affascinata dall’idea di vedersi col pancione, non trova soluzione migliore che quella di bucare di proposito i preservativi che porta con se` nella borsetta.

Anche l’ultima provocazione arriva ancora da un brand che produce abbigliamento femminile: si tratta del marchio “Pakkiano” creato dalla ditta di abbigliamento Ghiaia Tonon di Motta di Livenza in provincia di Treviso e ora di proprietà della Venetia Design. Si tratta di uno spot, visibile anche su Youtube intitolato “Salvata da morte certa” e accompagnato da un “incredibile, guardate come” studiato per catturare un maggior numero di click.

La modella interpreta nello spot una donna coperta dal uno chador condannata alla lapidazione. Intorno tanti uomini pronti a lanciare le pietre che la uccideranno, che pero` si fermano quando uno di loro rivela che non possono ucciderla, perché veste Pakkiano. La modella toglie il suo velo e si mostra ballando tra tutti gli uomini in pantaloncini e una succinta T-shirt su cui si puo` leggere: Sono ancora vergine.

Ora, a parte il nome a dir poco profetico del marchio, e le facili battute che ha potuto provocare, le critiche sono fioccate un po` da tutte le parti. Si indigna ad esempio Arianna Galati di fashionblog che scrive: «I creativi della pubblicità stavolta l’hanno fatta grossa. Inscenare la finta lapidazione di una donna da parte un gruppo di uomini abbigliati come islamici per promuovere un marchio di vestiti è veramente troppo, troppo anche per chi alle campagne pubblicitarie provocatorie ci è abituato».

Critico anche Luca Ballardini, scrittore e pubblicitario, che sul blog de Il Fatto Quotidiano che tuona: «Nonostante cinquant’anni di pubblicità, nonostante la creazione di facoltà di Scienze della Comunicazione in numerosi Atenei italiani, nonostante una pubblicistica ormai abbondantissima sulle metodologie e sull’etica della comunicazione pubblicitaria, nonostante seminari destinati non solo alle nuove leve pubblicitarie ma anche ai manager d’azienda, escono ancora oggi campagne incomprensibili».

Dal canto suo  Stefano Cigana si difende attraverso le pagine di Libero Quotidiano: «Chi fa polemica non sono tanto i musulmani, anche perché prima di realizzare lo spot mi ero confrontato con molti immigrati di seconda e terza generazione, tutti d’accordo che non c’era niente di male. Abbiamo voluto mandare un messaggio forte e dissacrante. Il nostro marchio vuole comunicare un senso di libertà. La lapidazione esiste, è un dato di fatto. La nostra, se vogliamo, è anche una denuncia, un modo per dire che queste pratiche barbare devono sparire».

Ma solo per le donne che indossano abbigliamento Pakkiano, ci verrebbe da dire, e che proclamano la loro verginità attraverso una maglietta. C’è da dire che se lo scopo della pubblicità è quello di far conoscere un prodotto, quelli dell’azienda veneta in questione lo hanno raggiunto, se poi questo clamore si tramuterà in vendite è un altro paio di maniche, lunghe o corte a seconda della stagione.

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