CARCERE E SANITA’, TRA CRITICITA’ E BUONE PRASSI. NON SI PUO’ MORIRE DI CARCERE E IN CARCERE.

CICATRICI DETENTIVE. La prima è il ricordo a distanza di un anno della morte di Ciro Rigotti, il detenuto terminale. Aveva chiesto di morire a casa sua, tra l’affetto dei suoi cari. Nell’ultimo suo appello, nelle mie denunce pubbliche come Garante, nella solidarietà di tanti eravamo stati tutti interdetti da una giustizia reale, disgregativa e disumana.Un giorno prima della morte l’ultima segnalazione sanitaria e la scelta del giudice di mandarlo dall’ospedale a casa.Vivo un religioso dolore pensando ai saliscendi della vita. La seconda cicatrice è la visita che ho effettuato nel carcere di Benevento e i colloqui con alcuni detenuti che aspettano da sei mesi o da un anno una visita specialistica, un ricovero, una operazione. Nel caso di due di loro, andati a visita specialistiche, hanno effettuato tali visite diverse dalle loro patologie! E mi chiedo perchè l’ospedale Rummo di Benevento è l’unico che non ha ancora un reparto detentivo per le persone ristrette?

Sono stato un grande sostenitore nel 2008 della riforma della sanità penitenziatria che ha riportato il tema della salute nelle competenze delle sole Aziende sanitarie locali affermando così un principio fondamentale: il diritto alla cura e alla salute è unico per la persona libera come per la persona priva di libertà. Come “Garante campano delle persone private della libertà personale” sono consapevole che il tema della sanità in carcere presenta notevoli difficoltà operative, gestionali e richiede una più ampia cooperazione istituzionale tra ASL e Amministrazione penitenziaria. Ho incontrato in questi giorni i responsabili della sanità penitenziaria sia a livello locale che provinciale. Colloquio proficuo e costruttivo

In alcuni casi ho assistito ad un rimpallarsi di responsabilità che offende le istituzioni e chi le rappresenta. Certo la sanità campana sulle carceri ha posto molto criticità ma anche una buona prassi ed esperienze significative.

Solo a Pogggioreale e Secondigliano vi è la presenza di centri clinici, oggi chiamati SAI(padiglione o reparto dove vi è un’intensità di cura maggiore), ma non è un vero reparto ospedaliero.

A Poggioreale vi è un ottimo impianto di Radiologia, di recente acquisto, utilizzabile anche dai detenuti delle carceri limitrofi, ma non vi sono dei macchinari utili e necessari per effettuare in sede una TAC o una risonanza magnetica. Una possibile soluzione che rappresenterebbe un altro buon esempio di buone prassi in sanità penitenziaria, sarebbe l’acquisto di una “tac mobile” che possa essere trasportata nei diversi istituti.

I posti letto negli ospedali da destinare alla popolazione ristretta devono aumentare, in Campania ce ne sono solo 36 per una popolazione di 7400 detenuti. Non si ricoverano in altri ospedali perchè non ritenuti idonei alla sicurezza.

Un’altra osservazione riguarda i turn-over nei centri clinici. Sono lenti perchè i detenuti che sono lì presenti restano il più a lungo possibile. Non parliamo del tema dei farmaci o della loro mancanza.  L’assistenza dietetica risulta abbastanza approssimativa.

Un’altra criticità rigurda il trasferimento dalla carceri per visite specialistiche, lente nei tempi sia per le lunghe attese ospedaliere che per la carenza di personale adibito a poter controllare il detenuto durante la visita. La stessa non stabilizzazione degli operatori penitenziari dell’ambito sanitario impedisce di intervenire bene e con continuità, vale per medici, infermieri ed altre figure sanitarie.

La cartella sanitaria informatica, la telemedicina devono entrare con forza nei piani regionali di settore. Un’altra criticità che si individua a livello regionale è strettamente collegata alla precedente e concerne la mancanza di una sistematica attività di monitoraggio epidemiologico volta a definire in termini di evidenza scientifica l’entità, la natura e le tendenze evolutive della domanda di salute espressa dalla popolazione dei detenuti . Il personale sanitario (medici, psicologi, infermieri, ecc.) opera da anni nel carcere con rarissime e sporadiche attività di aggiornamento o di valutazione del lavoro svolto. E’ pertanto naturale che vengano segnalati frequentemente episodi di cattive pratiche dipendenti probabilmente dal burn out, fenomeno che notoriamente riguarda il personale di assistenza alla persona operante in condizioni particolarmente critiche (reparti di rianimazione,centri clinici, tossicodipendenti, reparti psichiatrici, ecc.).Capitolo immigrati. I mediatori culturali e gli interpreti non esistono nelle carceri e gli stranieri affrontano spesso i consigli disciplinari in caso di infrazione non capendo neanche una parola, non riescono a dialogare con i medici, anche quando sono ricoverati o vanno a visite specialistiche. E poi il capitolo della salute mentale, della mancanza di psicologi e psichiatri nelle carceri, dei luoghi alternativi al carcere per queste persone diversamente libere.  Ed infine le problematiche derivanti dalla presenza in carcere di soggetti autori di reato nell’area delle tossicodipendenze – a loro volta spesso portatori di disturbi mentali gravi e “cronicizzati” per lunghi periodi di abuso/dipendenza .

Salute e magistratura di sorveglianza è un altro capitolo dolente per tempi e modalità di decisoni.

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