Ciambriello:”l’attualità del documento per amore del mio popolo non tacerò. Nella memoria di don Diana, sapendo che il fiore della salvezza sboccia nel letame del male.”

“A vivere l’avventura per essere pronti ed attenti a ciò che ci circonda, A servire il prossimo, sporcandoci le mani, imparando ad essere “uomini e donne di onore” pronti a non girarsi dall’altra parte.”, così in un commento dell’Agesci il valore del documento:”Per amore del mio popolo non tacerò”. Ed ancora:”È stato uno “strumento” che ci ha aiutato ad educare i ragazzi a scegliere da che parte stare, giocando e non essere spettatori, seguendo una pista che ci portasse a fare del nostro meglio.

Sono trascorsi 28 anni dalla pubblicazione del documento“per amore del mio popolo” che don Peppe Diana e i confratelli sacerdoti della Forania di Casal di Principe(otto parroci) vollero consegnare alla popolazione e alle persone di buona volontà. Era il 25 dicembre, Natale del 1991.Ventotto anni dopo ancora non si deve tacere,in nome di un popolo che vuole risorgere, dalla tirannia della camorra.
” E’ bene che si rinnovi questo appello perchè la terra nostra sta sempre in prima pagina. E’ importante perchè tutti, e soprattutto i giovani, hanno bisogno di ricordare don Peppe e quello che facemmo con semplicità ma con determinazione”, così riflette don Armando Briccoletti,uno dei parroci che firmarono il documento insieme a don Diana. Ancora oggi lo voglio ricordare il confratello don Peppe, con il quale ho studiato teologia.
“Forse non ci rendemmo subito conto della straordinaria vitalità che avevano quelle parole, della profezia che conservavano in sé, dell’orizzonte nel quale si sarebbero poi collocate. Fu l’assassinio di don Giuseppe Diana, avvenuto il 19 marzo1994, a rendere quel documento veramente unico, uno spartiacque tra il vecchio e il nuovo, tra la salvezza e la prigionia camorristica, tra il deserto e la terra promessa, fu quella morte atroce a prefigurare cioè una nuova terra e un nuovo cielo per questi territori così fortemente martoriati dalla violenza e dalla sopraffazione”.
Questi sacerdoti, mandati come agnelli in mezzo ai lupi, in luoghi dove c’erano corrotti e collusi con la camorra anche tra uomini dello Stato, hanno seminato tanti fiori che portano avanti quelle idee e quella battaglia, quel grido e quel bisogno di liberazione. In quel documento don Peppe non si limita a denunciare il male e le omissioni, ma mette in luce le radici e le possibili vie di guarigione con una forza e con una sorprendente lucidità che ritroviamo oggi nelle parole di papa Francesco.
Un messaggio che deve diventare monito,una meditazione che deve diventare azione,a sporcarsi le mani,a non guardare dall’altra parte.

A distanza di 28 anni, quelle preoccupazioni, ci interpellano profondamente, anche se le guardiamo con occhi diversi, con lo sguardo di chi vigila, vede l’ingiustizia e la denuncia, con la ragione di chi ricorda il passato e se ne serve per cogliere nel presente il nuovo che avanza, che fa della giustizia la via prioritaria da seguire per giungere alla libertà.
Ricordare quel documento non è un atto ripetitivo, ma è fare memoria, per narrare, da una generazione all’altra, il senso di una storia fatta di soprusi e violenze, ma anche di resistenza e di liberazione. Sapendo anche che le crisi per le liberazioni che non portano i frutti che vorremmo sono tipiche di ogni avventura umana vera. Però, noi credenti, sappiamo che il fiore della salvezza sboccia nel letame del male

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