C’erano una volta le camicie verdi che volevano bruciare il tricolore, adesso insieme ai trionfanti grillini pigliatutto, fanno incetta di poltrone. Il completamento delle cariche di Camera e Senato ha confermato l’asse tra Di Maio e Salvini, al netto delle polemiche sul governo. Il PD rimane alla finestra a guardare, è seduto sulla riva del fiume ad aspettare, in una posizione attendista e depressiva.Depressione. È il sentimento che, almeno questa volta, sta mettendo d’accordo i big del PD. Visto la sua storia e il suo radicamento, anche se seduto sui banchi dell’opposizione faccia sentire la sua voce. E’ il secondo partito del Paese ha il dovere di aprire le porte, di ascoltare, dialogare e fare proposte. C’è una poltiglia vagante tra l’astensionismo e la mobilità. Certo la questione è molto insidiosa.
C’è il muro renziano contro il tentativo di Franceschini che rompendo la tregua raggiunta in direzione, dove il PD ha scelto di andare all’opposizione, vuole aprire un confronto prima di salire al Quirinale. Renzi, costi quel che costi, vuole mantenere la sua presa sul partito, per questo ha compilato la lista degli eletti in un certo modo. Invece di discutere sul significato del risultato elettorale che ha portato il partito al minimo storico e concentrarsi sulle prospettive future, con gli stessi uomini e donne si ripiega in un immobilismo cadaverico. Non fanno autocritica questi “professorini”, questi super dirigenti, non si chiedono come mai il PD non abbia trovato un solo candidato in grado di vincere anche in uno solo dei 143 collegi uninominali al Sud, e dire che aveva fior fiori di candidati, despoti locali, portatori di voti ed illustri sconosciuti, Governi del territorio e Governatori virtuosi. Nel rifiuto pregiudiziale, nell’autoghettizzazione nessuno dice abbiamo perso il Sud, il partito si è fermato a Roma, altro che Eboli! E a Roma vince grazie ad Emma Bonino che nel suo collegio ha ottenuto il 39,93 %. E pensare che Renzi da Napoli in giù voleva usare il lanciafiamme!
Il Sud, oltre la mafia e la Chiesa, oltre la retorica del buon governo, oltre gli annunci e le risorse in campo, si è riconosciuto in Luigi Di Maio. Anche su questo nessuna autocritica né di renziani né di minoranze minoritarie e settarie. Quando, sul serio, il PD risolverà le contraddizioni di una sua leadership effettiva benché dimissionaria e sfiduciata da due milioni e mezzo di elettori mancati all’appello?
Non so se e quanto le nuove forze politiche egemoni, che hanno vinto le elezioni, abbiano il principio della sussidiarietà nel loro Dna, ma le situazioni economiche e sociali complesse meritano più di un Cireneo-politico in grado di caricarsi sulle spalle la croce delle aspettative e della soluzione di questioni così complesse. L’alternativa alla rissa non può essere l’immobilismo . Non sperare di metterli alla prova, fare sorrisetti di sufficienza nelle dichiarazioni, augurare un governo Di Maio-Salvini. In una democrazia lacerata come la nostra c’è ancora molto da fare se ci si impegna in modo appropriato dinanzi alla situazione presente. Il perno principale ha un nome: Sergio Mattarella, è un punto di forza, una luce nel buio, anche se ha poteri molto limitati.
Il PD giochi a carte scoperte, faccia sentire la sua voce.