RILEGGO IL RAPPORTO SVIMEZ:IL SUD PUO’ AGGANCIARE LA RIPRESA ECONOMICA,MA LA POVERTA’ E’ AI LIVELLI PIU’ ALTI DI SEMPRE E SI PERDONO I LAUREATI.

“Il tipo di politiche finora applicate  hanno generato una ripresa dell’occupazione al Sud che non ha inciso sensibilmente sui livelli di povertà, ma che ha interessato solo parzialmente le fasce di popolazione più esposte al rischio di marginalizzazione sociale. La ripresa economica del Mezzogiorno  non sembra ancora in grado di incidere su una condizione sociale che resta allarmante.” Così il rapporto Svimez, l’associazione  per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, delinea una situazione allarmante del contesto sociale del Sud ed anche della Campania. Ma Pil e tasso di occupazione servono ancora a misurare se le cose vadano bene o male? Ma il Sud è ancora in grado di agganciare la ripresa economica, ma la povertà è ai livelli più alti di sempre.

In un contesto di diseguaglianze e immobilità sociale dalla Campania, solo nel 2016, sono andati via oltre 9100 residenti. Una emorragia demografica determinata dalle gravi condizioni socio-economiche. E il rischio povertà in Campania,con il 40%,è quello con l’indice più alto delle regioni del centro-sud. Dieci campani su cento sfiorano al povertà assoluta, percentuale che aumenta soprattutto nelle periferie delle città sopra i 50mila abitanti. Il fenomeno della la povertà, che «resta sui livelli più alti di sempre e il livello di disuguaglianza interno all’area deprime la ripresa dei consumi».

Le politiche di austerità, spiega ancora il report, hanno determinato il deterioramento della capacità del welfare pubblico di controbilanciare le crescenti disuguaglianze indotte dal mercato, in presenza di un welfare privato del tutto insufficiente al Sud (si pensi alla minore diffusione del Terzo Settore o, ad esempio, al ruolo irrisorio, rispetto al resto del Paese, che vi giocano le Fondazioni di matrice bancaria nel finanziamento di iniziative sociali)». In particolare, un meridionale su tre è esposto al rischio di povertà, che nel Sud si attesta al 34,1%. In tutte le regioni meridionali, inoltre, risulta superiore sia rispetto al dato nazionale (19,0%) sia rispetto a quello del Centro-Nord (11,0%). Nelle regioni più popolate, Sicilia e Campania, il rischio di povertà arriva a sfiorare il 40%.

C’è poi un altro elemento negativo da prendere in considerazione. La crescita dei posti di lavoro al Sud nell’ultimo biennio «riguarda innanzitutto gli occupati anziani e, nella media del 2016, si registrano ancora oltre 1 milione e 900 mila giovani occupati in meno rispetto al 2008». L’indagine mette in evidenza che si sta consolidando «un drammatico dualismo generazionale, al quale si affianca un deciso incremento dei lavoratori a bassa retribuzione, conseguenza dell’occupazione di minore qualità e della riduzione d’orario, che deprime i redditi complessivi». Nei primi 8 mesi del 2017 – aggiunge Svimez – «sono stati incentivati oltre 90 mila rapporti di lavoro nell’ambito della misura “Occupazione Sud”, grazie alla proroga delle misure per la decontribuzione dei nuovi assunti nel Mezzogiorno decise dal Governo».

E poi ancora un altro dato allarmante: negli ultimi 15 anni il Mezzogiorno ha perso 200mila laureati.Trenta miliardi “persi”, trasferiti alle regioni del Centro Nord e in piccola parte all’estero. E’ il costo del depauperamento di capitale umano nel Sud Italia dovuto alla “fuga” negli ultimi 15 anni di 200mila laureati.  Una cifra che emerge dal costo medio che serve per sostenere un percorso di istruzione elevata. E oltre ai laureati anche il saldo migratorio per il Sud è negativo e sfiora le 28mila unità e alla fine del 2016 il Mezzogiorno ha perso altri 62mila abitanti. Nel Centro Nord, invece, il saldo è in aumento di 93.500. In particolare nel 2016 la Sicilia perde 9.300 residenti, la Campania 9.100, la Puglia 6.900.

Infine, un elemento che contraddice un luogo comune. Dal rapporto emerge infatti che la Pubblica amministrazione del Mezzogiorno sconta un forte ridimensionamento, in termini di risorse umane e finanziarie: «Tra il 2011 e il 2015: -21.500 dipendenti pubblici (nel Centro-Nord sono calati di -17.954 unità) e una spesa pro capite corrente consolidata della Pa (fonte Cpt) pari al 71,2% di quella del Centro-Nord, con un divario in valore assoluto di circa 3.700 euro a persona». La sfida di una maggiore efficienza della macchina pubblica al Sud «passa per una sua profonda riforma, ma anche per un suo rafforzamento attraverso l’inserimento di personale più giovane a più alta qualificazione. Ciò – conclude il report – a dispetto dei luoghi comuni che descriverebbero un Sud inondato di risorse e dipendenti pubblici».

Il Mezzogiorno è uscito dalla lunga recessione e nel 2016 ha consolidato la ripresa, registrando una performance per il secondo anno superiore, se pur di poco, rispetto al resto del Paese. L’industria manifatturiera meridionale è cresciuta al Sud nel biennio di oltre il 7%, più del doppio del resto del Paese (3%); influiscono positivamente le politiche di sviluppo territoriale mentre restano le difficoltà delle imprese del Sud ad accedere agli strumenti di politica industriale nazionale. La stretta integrazione e interdipendenza tra Sud e Nord rafforza la necessità di politiche meridionaliste per far crescere l’intero Paese. Ottima la performance soprattutto al Sud delle esportazioni nel biennio 2015-2016. Le previsioni per il 2017 e il 2018 confermano che il Mezzogiorno è in grado di agganciare la ripresa, facendo segnare tassi di crescita di poco inferiori a quelli del Centro-Nord. Tuttavia la ripresa congiunturale è insufficiente ad affrontare le emergenze sociali. Il tasso di occupazione nel Mezzogiorno è ancora il più basso d’Europa (35% inferiore alla media UE), nonostante nei primi 8 mesi del 2017 siano stati incentivati oltre 90 mila rapporti di lavoro nell’ambito della misura “Occupazione Sud”.Al Sud serve innovare, investire su formazione, Piccola e media impresa, Ricerca e sviluppo.

Mentre rileggo questi dati penso all’ultima intervista di papa Francesco ad Eugenio Scalfari:” Il popolo dei poveri deve entrare nella politica grande, creativa, quella descritta da Aristotele….Cristo ha parlato di una società dove i poveri, i deboli, gli esclusi, siano loro a decidere. Non i demagoghi, non i Barabba.”

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