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Ex Ilva, confronto a Palazzo Chigi tra Conte e la famiglia Mittal

Un confronto teso, per capire se il futuro dell’acciaieria di Taranto sarà targato Arcelor Mittal. I proprietari del colosso siderurgico, Lakshimi Mittal e il figlio Aditya, hanno trattato a lungo venerdì sera con il premier Giuseppe Conte, affiancato dai ministri dell’Economia Roberto Gualtieri e allo Sviluppo economico Stefano Patuanelli. Prima dell’incontro, Conte ha sottolineato di non poter accettare un disimpegno da parte di Mittal sulla gestione del sito pugliese. “Non abbiamo promosso noi la battaglia giudiziaria che, l’ho sempre detto, è una sconfitta per tutti”, ha sottolineato Conte, a margine dell’inaugurazione dell’anno accademico della Scuola superiore di polizia, prima dell’incontro. Per poi aggiungere, da avvocato, che nei tribunali la reazione sarà durissima, chiedendo un risarcimento esorbitante.

Conte e la sua squadra hanno tentato di capire le reali intenzioni dei Mittal: è possibile bloccare la loro richiesta di recedere dal contratto? Reintroducendo lo scudo penale, si potrebbe tornare trattare? Il nodo successivo, ancor più importante, è sull’occupazione: i 5mila esuberi di cui si è parlato possono essere evitati? L’esecutivo avrebbe già pronta una bozza di ‘decreto Taranto’, con cui si potrebbe reintrodurre l’immunità penale ed eventualmente arginare l’emergenza occupazionale con un massiccio ricorso agli ammortizzatori sociali. Mentre la politica cerca di dipanare questi nodi, nelle aule giudiziarie lo scontro viene aperto su diversi fronti. “Ci venga detto chiaramente rispetto agli impegni presi qual è la posizione di Mittal, da lì partiremo”, ha detto Conte prima di iniziare la maratona negoziale.

Intanto, a Taranto, carabinieri del Noe, del Nucleo sulla sicurezza sul lavoro di Roma e del Comando provinciale locale hanno compiuto una ispezione nello stabilimento ex Ilva. Le indagini della procura tarantina puntano sulle ipotesi di reato di distruzione di mezzi di produzione e appropriazione indebita. A Milano, invece, gli inquirenti ipotizzano i reati di distrazione di beni dal fallimento e aggiotaggio informativo. La procura meneghina, in particolare, sostiene che il venir meno dello scudo sarebbe stato usato come pretesto per chiedere la cessazione delle attività. Arcelor Mittal, insomma, avrebbe già pianificato la chiusura dell’impianto, bloccando l’approvvigionamento di materie prima.

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