Economia e Welfare

Finmeccanica, finalmente un accordo per discutere di una strategia comune d’azione con il Governo

Finalmente la Regione Campania è riuscita a mettere attorno a un tavolo sindacati, lavoratori, sindaci, deputati, amministratori e rappresentanti istituzionali per provare ad elaborare insieme una strategia comune di azione e interlocuzione col governo sul nuovo piano industriale Finmeccanica e ciò in riferimento soprattutto agli sviluppi e alle conseguenze per gli stabilimenti e insediamenti produttivi presenti in Campania. Meglio tardi che mai, verrebbe da dire. Sì, perché ovviamente sarebbe stato meglio se un’iniziativa del genere fosse stata messa in piedi prima, quando il piano vero e proprio ancora non c’era e c’erano “solo”, nelle more della sua presentazione ad opera del nuovo management, preoccupazioni e timori (fondati) circa i possibili ridimensionamenti dei presidi campani del gruppo. Già allora noi, come deputati campani del Partito democratico, decidemmo di interpellare il Governo circa le scelte che sarebbero state assunte di lì a poco, chiedendo a tutte le altre forze politiche di far fronte comune rispetto a questo ennesimo banco di prova per il Sud. Il nostro appello però cadde nel vuoto.

Ora però, dopo che il Governo ha risposto in aula alla nostra interpellanza impegnandosi a vigilare affinché il nuovo piano non debba significare per il Sud e la Campania nuovi tagli, sacrifici e ridimensionamenti, che questa nostra battaglia non sia più solitaria è decisamente un bene e tuttavia, vista l’imminenza delle elezioni regionali, e anche affinché venga allontanato il rischio che la vicenda sia strumentalizzata per meri fini di battaglia politica, è necessario fare in fretta e soprattutto avere, pur nelle condizioni date, obiettivi chiari e realmente perseguibili. Su questi, poi, bisogna unire le forze e le diverse voci per portare a casa risultati concreti nell’interesse di un territorio già sufficientemente provato e depauperato sul fronte industriale come si affannano a dire, ormai da diverso tempo, voci autorevoli e diverse, a partire dalla Svimez. È un percorso possibile e che può portare davvero a risultati significativi. Così com’è accaduto, ad esempio, in commissione Difesa alla Camera e poi in aula in Parlamento in occasione dell’approvazione della cosiddetta «legge navale» e cioè il programma di investimenti della Marina Militare all’interno della legge di stabilità 2015. Lì, andando oltre le strumentalizzazioni e le polemiche sterili di chi gridava alla «subalternità» della politica alle lobby industriali e agli armamenti facili, grazie a un confronto franco e costruttivo, trovando in commissione le necessarie convergenze siamo riusciti ad approvare un piano di rifacimento dell’intera flotta navale italiana per un valore complessivo di investimenti pari a 5,4 miliardi di euro di cui 345 milioni solo per la Campania. Una misura che oltre ad essere necessaria per garantire al Paese un’adeguata flotta navale, moderna e rinnovata per fronteggiare efficacemente le diverse e sempre più pressanti emergenze che vengono dai nostri mari, rappresenta al tempo stesso un intervento capace di garantire al nostro territorio e al nostro comparto produttivo – in specie quello manifatturiero e ad alta specializzazione tecnologica – investimenti pubblici consistenti e pluriennali in settori sempre più strategici per la nostra economia. Investimenti tanto significativi, quelli previsti dalla «legge navale», da poter rappresentare quasi una misura «anticiclica», utile di sicuro a invertire la rotta seguita fin qui di tagli e disinvestimenti imposti dal dogma dell’austerità per ricominciare finalmente a spendere risorse pubbliche in maniera produttiva.

Una misura le cui ricadute positive nella nostra regione saranno molteplici: grazie all’attuazione del programma navale, infatti, l’investimento annuale medio previsto per la Campania, circa 60 milioni di euro, produrrà ogni anno per i soli cantieri di Castellammare di Stabia un aumento di reddito, di consumi e di livello della domanda interna di 267 milioni di euro. A ciò si aggiunga l’aiuto concreto per la tenuta e messa in sicurezza, per i prossimi venti anni (tale è infatti la durata del programma), dei livelli occupazionali non solo di Fincantieri – dove sono occupate circa 3800 persone – ma anche di tutte le aziende dell’indotto, tra cui quelle del gruppo Finmeccanica, coinvolte nel piano di ristrutturazione navale. Penso in particolare ai siti Selex e Mbda ma anche agli altri siti Finmeccanica nel settore aeronautico: si tratta di circa 5400 lavoratori specializzati nei sistemi aeronavali ad alta tecnologia e cioè nella produzione di tutto ciò che serve per rendere un’unità navale concretamente equipaggiata e operativa (realizzazione di radar, missili, sistemi aeronautici di precisione etc). Ecco, davanti a risultati concreti come questi la necessità di costruire anche qui in Campania lo stesso «fronte comune» per tentare di salvaguardare il patrimonio tecnologico e industriale costruito in tutti questi anni negli stabilimenti regionali di Finmeccanica appare ancora più stringente. E di fronte all’inspiegabilità di scelte di chiusura, ridimensionamento e dismissione in settori in cui invece l’elevata domanda di mercato giustificherebbe scelte opposte, di valorizzazione e rilancio di risorse e competenze che soprattutto qui in Campania sono di altissimo e riconosciuto livello, questa necessità diventa l’unica strada possibile. Non facile ma di sicuro la più utile e sensata. Sarebbe davvero un errore se si decidesse di non perseguirla per ragioni politiche o di appartenenza.

 

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