Cultura

IL 25 LUGLIO DEL 1943, DIARIO DI UN GIORNO STORICO

Quel giorno a Roma tutto avvenne all’improvviso. Nei giorni precedenti in città c’era stata un’atmosfera strana, sospesa. La notizia dello sbarco in Sicilia il 19 luglio aveva dato la misura della incombente tragedia. Mussolini aveva tentato un ultimo colpo di coda col famoso discorso sul “bagnasciuga”. Ci andai con mia sorella, confusi fra la folla che non mi sembrò entusiasta come le altre volte. Il bombardamento su San Lorenzo tolse ogni illusione ai romani sulla garanzia derivante dallo status di città aperta. I rifornimenti alimentari erano scarsi e, fra le bombe e la fame, la depressione dei romani non poteva essere esorcizzata dalle roboanti frasi del Duce.

Della tragedia del  Gran Consiglio  del PNF, svoltosi fra il giorno precedente e la notte, i romani non seppero quasi niente. Quella seduta che aveva avuto come protagonista Grandi si concluse nel sangue con la fucilazione degli oppositori  fra cui il genero di Mussolini: Galeazzo Ciano, già ministro degli esteri.

N--9-La-Stampa-luglio-43La misura della gravità dell’evento fu il tono del comunicato del giornale radio: Il cavaliere Benito Mussolini ha presentato a Sua Maestà il Re le dimissioni da presidente del Consiglio. Sua Maestà il re Vittorio Emanuele terzo le ha accettate.

In pochi attimi da Duce del fascismo e fondatore dell’impero a borghesissimo: Cavaliere Benito Mussolini dimissionario. Alla notizia della caduta del fascismo e dell’arresto di Mussolini i romani si precipitarono per le strade, assalirono e saccheggiarono le sedi del PNF, ne distrussero i simboli mentre gruppi di giovani su camion con tanto di bandiera sabauda correvano entusiasti per le strade come liberati da un incubo. C’era molta confusione anche politica. Non si delineò subito un’alternativa democratica di governo e la monarchia pensò, con quella manovra,  di salvare sé stessa  e non l’Italia.

I fascisti scomparvero.

Così nel giro di una giornata crollò un sistema che aveva avuto la tracotanza di inaugurare una nuova era: quella fascista in cui gli anni si contavano dal 28 ottobre 1922.
Quella data fu l’inizio di una tragedia  che terminò nel 1945. L’incapacità e la vigliaccheria di gran parte del ceto dirigente generò un dramma in cui la dignità del Paese fu riscattata dalla Resistenza e dall’orgoglioso comportamento dei nostri soldati semplici, eroi sconosciuti che abbandonati oltre confine, si rifiutarono in massa di collaborare con i tedeschi  pur sapendo che sarebbero finiti nei campi di concentramento.

Il crollo del regime fu la misura della caduta del consenso che fino al ‘38  era elevatissimo. Nei quartieri popolari, dove ho abitato sempre, nessuno metteva in discussione il fascismo, anzi le sanzioni della Società delle Nazioni lo rafforzarono perché la propaganda di regime sfruttò a pieno il senso di orgoglio derivante dalla sfida al mondo intero. Le delusioni vennero dopo, quando si capì che le sanzioni avrebbero distrutto, come avvenne, l’industria dei guanti e delle scarpe su cui si reggeva l’economia della città.

Il dramma vero lo visse la generazione nata a ridosso degli anni venti. Una gioventù nata col fascismo, formata nel fascismo e per la quale esso era l’unico regime politico possibile e che in parte credeva nei contenuti della rivoluzione “fascista”: gli avvenimenti drammatici della guerra le imposero una profonda revisione culturale .Da quei giovani uscì poi la generazione che ha guidato l’Italia repubblicana e che ha costruito la Costituzione insieme agli esuli dell’antifascismo.

Ripensando a quei giorni mi riesce difficile comprendere il revival dei gruppi fascisti che osano andare nelle piazze col braccio alzato e militarmente inquadrati, come fece Casa Pound al comizio di Salvini a Roma.

La verità è che l’Italia, contrariamente alla Germania, non ha mai fatto i conti “ veri” col fascismo, sua originalissima invenzione, ed è stata amministrata, negli anni di formazione della Repubblica, da personale nato, cresciuto ed addestrato col fascismo. Negli anni ’50 era esperienza comune di noi giovani comunisti venire fermati da poliziotti che ci dicevano chiaramente che qualche anno prima sarebbero stati lieti di trattarci “come  meritavamo” e che la democrazia (parola pronunziata con disprezzo) gli legava le mani.

Dopo 72 anni mi sembra che la memoria di quella tragedia si sia offuscata. Ancora ci sono gruppi che si richiamano al fascismo ed al mito della razza che senza paura di contraddizione si alleano con la Lega.

Come si sa, ai giovani è inutile fare prediche e sempre le crisi sociali se non affrontate con decisione danno spazio a reazioni di destra.

La risposta dobbiamo darla noi affrontando le questioni della crisi e della disoccupazione, origine prima del malessere delle giovani generazioni, con metodi che abbiano nella democrazia e nella partecipazione la loro essenza e  riscoprendo la funzione educatrice  della scuola come struttura di formazione democratica.

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