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Il riscaldamento globale ha reso alcune zone del mondo invivibili per l’uomo

Nei siti che si occupano di meteo e nelle previsioni del tempo in tv sentiamo continuamente parlare di temperatura e di umidità dell’aria (soprattutto in questi tempi di riscaldamento globale), ma c’è un parametro del quale non si parla quasi mai, nonostante la sua notevole importanza per valutare le condizioni meteorologiche di un luogo: parliamo della cosiddetta “temperatura di bulbo umido”, cioè una misura composita che tiene in considerazione sia la temperatura sia l’umidità dell’aria dell’area a cui si fa riferimento.

La si misura con un termometro ricoperto con un panno umido, riporta Focus, e oltre i 35 °C indica una condizione nella quale il nostro corpo non riesce a raffreddarsi a sufficienza tramite il sudore; in altre parole, i 35 °C sono la soglia superiore di sopravvivenza per noi umani. Uno studio dell’università di Loughborough, in Inghilterra, ha rivelato che questo valore viene superato sempre di più frequente, e che quindi il riscaldamento globale sta rendendo inabitabili un numero sempre crescente di aree in giro per il Pianeta.

Lo studio guidato da Tom Matthews ha preso in considerazione i dati meteorologici di svariate stazioni meteorologiche in giro per il mondo, e ha trovato risultati preoccupanti soprattutto nel Golfo Persico, in India, in Pakistan, negli Stati Uniti e in Messico. Con “preoccupanti” intendiamo ogni volta che la temperatura di bulbo umido misurata era compresa tra i 27 e i 35 °C, cioè i valori considerati a rischio per la salute umana (l’ondata di calore che colpì l’Europa nel 2003 fece migliaia di morti senza mai superare i 28 °C): la frequenza di queste misurazioni è raddoppiata dal 1979 a oggi, e in alcune aree, come la città pakistana di Jacobabad o quella di Ras Al Khaimah, negli Emirati Arabi Uniti, la soglia dei 35 °C è stata addirittura superata, una “prima volta” assoluta nella letteratura scientifica.

È importante segnalare che il superamento dei 35 °C non è (ancora) un evento normale né prolungato nel tempo: lo studio parla di «condizioni […] che perdurano per una o due ore al massimo», dunque momenti di calore estremo, non intere giornate. Non significa che i dati siano meno preoccupanti: secondo gli autori dello studio, «condizioni estreme, che superano la soglia di tolleranza del nostro corpo, sono più vicine a noi di quanto crediamo, almeno in certe aree del mondo».

La maggior parte dei luoghi dove sono stati misurati i valori estremi sono scarsamente popolati e, soprattutto, sono abitati in prevalenza da popolazioni ricche che hanno accesso all’aria condizionata. Se le cose continuassero così, però, dicono gli autori, le stesse condizioni si potrebbero verificare in aree meno attrezzate, senza contare che la crescente richiesta di energia per mantenere una temperatura accettabile andrebbe a contribuire ulteriormente al riscaldamento globale.

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