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Incubo petrolio su Irpinia e Sannio: il silenzio della politica

Si scrivono fiumi di parole sul Protocollo di Kyoto. L’imperativo dominante sembra essere l’ambiente: dalla sostenibilità alla green economy. Ma nelle provincie di Benevento e di Avellino i cittadini e gli enti locali devono battersi per tutelare i loro territori. Contro ogni logica di promozione di energia pulita, nel Sannio e in Irpinia si ricercano infatti idrocarburi. Il piano è proposto dall’azienda inglese Delta Energy Limited e riguarda Pietra Spaccata e Case Capozzi. Nei mesi scorsi
la questione “petriolo” ha fatto registrare grandi polemiche ma poi – in particolar modo nel Sannio – è calato uno strano silenzio.

E questo non perché non ci sia più la ‘questio’ ma molto semplicemente perché non se ne parla più. Complice di questa grave situazione la classe politica locale che ha taciuto prima e continua a tacere ora. Nessun intervento è in atto nel Sannio
per scongiurare l’arrivo delle società petrolifere e con esse dell’H2S, l’idrogeno solforato, un sotto-prodotto principale dell’opera di idro-desulfurizzazione del petrolio.

Secondo gli esperti, i probabili giacimenti per i quali si vuole investigare il sottosuolo sannita ne sarebbero ampiamente ricchi. È lecito allora chiarire quali sono le conseguenze che l’H2S provoca sugli esseri umani. Ebbene, gli effetti sono
simili a quelli del cianuro. Se poi la quantità di idrogeno solforato è troppo elevata, la naturale capacità del corpo umano di disintossicarsi non è più sufficiente e la tossicità diventa letale. A questo punto qualcuno potrebbe obiettare che per scongiurare il pericolo di esposizione della popolazione basterebbe tenere sotto controllo le emissioni di acido solforato. Ma il dibattito intorno alle concentrazioni non è proprio banale. Il gap legislativo tra nazioni preparate alla ricerca e allo sfruttamento degli idrocarburi e il Bel Paese è un fatto incontrovertibile. Basti pensare che il governo federale degli Stati Uniti d’America, a fronte dei numerosi studi scientifici, consiglia di fissare il limite massimo ad 1 ppb (0.001 ppm). In Italia, il limite massimo di
rilascio di idrogeno solforato, secondo quanto stabilito dal decreto ministeriale del 12 luglio 1990, è di 5 ppm per l’industria non petrolifera e 30 ppm per quella petrolifera.

Un valore seimila volte più alto rispetto a quello raccomandato dall’OMS (0,005 parti per milione). Questo senza contare i danni all’agricoltura. Un impianto del genere ha un forte impatto sull’economia dei territori. La realtà sannita, al pari di quella irpina, è costituita da una moltitudine di siti di interesse comunitario. Fin qui, l’obiettivo è stato quello di creare un circuito di territori di eccellenza che, grazie alle loro specificità enogastronomiche e al clima favorevole, fossero in grado di accogliere
i flussi turistici attratti dall’ottima qualità della vita. Le colture di pregio rappresentano proprio l’affermazione del principio ispiratore dello sviluppo dell’entroterra e la loro continua evoluzione sono il segnale che la strada intrapresa è quella giusta. Ma il pericolo di passare dai marchi Dop, Doc, Docg dei prodotti delle terre sannite e irpine a quello di ‘Oil Forever’ è purtroppo reale e incombente.

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