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Intervista ad un ergastolano, Musumeci:” Siamo come cadaveri in attesa di essere sepolti”

Carmelo Musumeci si trova, attualmente,  nel carcere di Padova. E’ stato catturato nel 1991, all’età di 36 anni ed è un ergastolano. Fa parte dei cosiddetti “uomini ombra“, un esercito di detenuti che ha un “fine pena mai” da scontare dietro sbarre pesanti.

Oggi, Musumeci è un detenuto “speciale”: scrive libri e poesie, portando avanti anche battaglie contro la pena dell’ergastolo.

Linkabile l’ha intervistato.

Lei è entrato in carcere con la licenza elementare. Nel corso della sua detenzione ha studiato, fino a conseguire la laurea in Giurisprudenza. Molti si sarebbero arresi, cosa è scattato in Lei?

Avevo letto in un libro queste parole di Don Milani che mi avevano colpito: “Siete proprio come vi vogliono i padroni, servi, chiusi e sottomessi. Se il padrone conosce 1000 parole e tu ne conosci solo 100 sei destinato ad essere sempre servo”.

Io in prima elementare sono stato bocciato. La stessa cosa accade in seconda elementare. A nove anni per la mia famiglia ero già abbastanza grande per andare a lavorare. Sono entrato in carcere venticinque anni fa con la licenza elementare. Durante le atroci esperienze dell’isolamento diurno e notturno nel carcere duro dell’Asinara, sottoposto al regime di tortura del 41 bis, ho iniziato a studiare da autodidatta. Prima l’ho fatto per rimanere umano, dopo per sopravvivere, alla fine per vivere.  Credetemi, lottare e studiare mi sono costati anni di regimi duri, punitivi e d’isolamento, perché spesso per ritorsione mi impedivano persino di avere libri o una penna per scrivere. E in certi casi mi lasciavano la penna ma mi levavano la carta, perché non c’è cosa peggiore per l’Istituzione carceraria di un prigioniero che pensa, studia, scrive e lotta. Fra mille difficoltà ho preso la terza media e mi sono diplomato. Nel 2005 mi sono laureato in “Scienze Giuridiche”, nel 2011 in Giurisprudenza e quest’anno in Filosofia, con una tesi in “Sociologia della devianza”.  Ho scelto “Scienze giuridiche” e “Giurisprudenza” per difendere me stesso e i miei compagni da “L’ Assassino dei Sogni”, il carcere come lo chiamo io. Poi ho scelto di studiare “Filosofia” per cercare un po’ di libertà nella mia mente e nel mio cuore e per tentare di rispondere a me stesso “Chi sono, da dove vengo, dove vado.”

Come si svolge la sua giornata?

Più che trascorrere le mie giornate le vedo passare perché il tempo in carcere è difficile da percepire. Sembra tutto fermo, si parla di anni come se si discutesse di giorni, il tempo lo si estende e lo si dilata. A volte per tentare di vivere devi saper morire. Ed io inizio a morire appena mi sveglio al mattino. Normalmente mi sveglio all’alba. Non mi alzo subito. Sto un po’ abbracciato con il mio cuore. A volte vado all’aria a fare quattro passi. Spesso invece rimango in cella. Aspetto che passi la guardia della posta. E rispondo alle numerose lettere che ricevo. La sera mi cucino qualcosa. Poi inizio a fare su e giù per la cella per aiutare la digestione. E passeggio. Avanti e indietro. Tre passi avanti e tre indietro. Quando sono abbastanza stanco, mi sdraio sulla branda. Se non c’è nulla d’interessante alla televisione mi metto a leggere fino a tardi. Poi mi addormento perché non posso fare altro.

Qual è, secondo Lei, il problema delle carceri italiane oggi?

Non posso fare a meno di pensare che il carcere non lotta contro la criminalità, ma la produce. E questo probabilmente perché quando vivi intorno al male non puoi che farne parte. E in un certo senso questo vale anche per le guardie carcerarie, che non sono nate “cattive”, ma molto spesso lo diventano a furia di vivere in un ambiente di “cattività”. Penso che spesso non siano i reati commessi a far diventare una persona criminale, bensì i luoghi in cui è detenuto e gli anni di carcere che vengono inflitti.

Quanto la pena rieduca e riabilita i detenuti? E quanto conta il volontariato all’interno del carcere?

Quando ti fa uscire il senso di colpa del male che hai fatto. Un carcere che non riesce a fare questo fa uscire i suoi prigionieri più deviati e criminali di quando sono entrati. E odieranno la società e le istituzioni ancora di più, per averli fatti diventare dei mostri. Con la riforma del 1975, l’apertura del volontariato nel sistema penitenziario è stata una vera rivoluzione culturale carceraria, nel dare importanza alla comunità libera nel recupero del detenuto. È stato come se il legislatore ammettesse che il prigioniero può migliorare solo dentro la società e non può certo farlo se viene totalmente escluso. Credo che le migliaia di persone che ogni giorno entrano in carcere e che dedicano la loro energia e il loro tempo ai prigionieri siano la parte più sana delle nostre “Patrie Galere”. Ed è grazie a loro che la maggioranza della popolazione detenuta riesce ad avere ancora un contatto con l’ambiente esterno e a sentirsi meno emarginata. Probabilmente per questo il “nemico numero uno” per “L’Assassino dei Sogni” (il carcere, come lo chiamo io) non è il detenuto, ma è il volontario che entra a casa sua, lavora gratuitamente, vede ascolta e poi va fuori.

Molti etichettano gli ergastolani ostativi come “l’esercito dei senza speranza” o “uomini ombra”. Ci può descrivere cosa prova e vive un ergastolano?

I miei obiettivi sono quelli di fare notte e poi di fare mattina. Gli uomini ombra dormono solo per svegliarsi e poi dormire di nuovo. Vivono distaccati ed estraniati nel loro mondo di solitudine e ombre. Non so perché resisto, probabilmente solo per amore delle persone che ho fuori. Gli ergastolani sono come cadaveri in attesa di essere sepolti.

 In cosa crede Lei, Dottor Musumeci. E cosa spera, se spera?

Credo di non credere e forse sono uno dei pochi credenti. Credo nell’amore. Non spero perché penso che la speranza è dei deboli, ma cerco di creare la speranza.

 

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