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La direttrice di Poggioreale Maria Luisa Palma su antichi problemi e nuovi progetti per un carcere efficace

Intervenendo al convegno Carcere e Giustizia da un “altro punto di vista”, svoltosi a Napoli alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, la direttrice del carcere di Poggioreale, dottoressa Maria Luisa Palma, ha fatto il punto sul proprio impegno nel gestire e migliorare la struttura, non senza evidenziare le criticità ancora da risolvere. La direttrice ha innanzitutto rivelato il suo pensiero sulla percezione del carcere nell’opinione pubblica: “Sono una persona pratica, lavoro nell’amministrazione penitenziaria da 32 anni e pensando a cosa dire oggi ho creduto importante comunicare quello che stiamo facendo per il carcere di Poggioreale. Vorrei quindi fare alcune riflessioni e, perché no pur essendo arrivata da poco, farvi conoscere cosa penso. La prima riflessione mi è venuta leggendo un libro di Alain Brossat, un sociologo francese, dal titolo Pour en finir avec la prison, che sintetizza non solo il mio pensiero ma direi quello di chiunque rifletta su questo periodo carcerario contemporaneo”. Il riferimento è al carcere che dovrebbe fungere come estrema ratio e non come unica risposta alla devianza. “Ma è proprio così? La risposta non è questa, pensate che ci sono in Italia 35 mila fattispecie di reato puniti col carcere. Quindi il carcere è la sola risposta alla delinquenza sociale. È una risposta che si utilizza da più parti anche di questi tempi affinché si ottenga la cosiddetta sicurezza dei cittadini. Mi chiedo se i cittadini si sentano più sicuri con più carcere. Non esiste una correlazione fra sicurezza sociale e carcerazione ma esiste invece, al contrario, una correlazione fra carcerazione ed esclusione sociale. La maggior parte delle persone ristrette a Poggioreale sono giovani, non hanno un’adeguata istruzione, spesso sono tossicodipendenti e ce ne sono tanti, non solo al padiglione Roma. Il carcere non serve a niente quando non è efficace e non è efficace quando non rispetta la legge”. “Seconda riflessione – ha aggiunto la direttrice di Poggioreale – Il carcere efficace è quello progettato tenendo conto del contesto sociale, quindi del territorio in cui sorge. Questo per fare in modo che i detenuti mantengano un contatto col proprio contesto d’appartenenza, per fare sì che i rapporti sociali non vengano evaporati dalla lontananza, quindi un carcere in ogni contesto sociale dove ci sia una situazione di degrado. Quando nel 1912 Poggioreale venne costruito era fuori dalla città, una palude, un posto in cui andavano a cacciare i re e i principi ma piano piano è stato inglobato nella città e adesso si trova praticamente al centro cittadino. Questo significa identificare un carcere con il rispetto dei principi normativi, costituzionali e l’ordinamento penitenziario? Io vedo il carcere per quello che è, un luogo dove una persona viene tenuta separata dal suo contesto naturale, un luogo in cui si vuole mantenere l’uomo coatto per rieducarlo e l’esperienza mi dice che questo non sempre funziona. Ciò riesce solo quando si valorizza l’uomo che ha sbagliato e se lo si include. La sanzione non dev’essere solo restrittiva e non deve distruggere l’uomo. I luoghi della sanzione siano strutturati in maniera diversa dalle carceri per come oggi le conosciamo. Occorre cambiare registro e questi sono i punti da cui partire”. Spazio quindi a cosa, nel concreto, la direttrice Palma sta facendo e a cosa punta per il futuro: “Che cosa sto cercando di realizzare? Proprio questo. Un carcere che non offenda la dignità dell’uomo, non solo dei detenuti ma anche dei lavoratori dentro il carcere. Quando i luoghi, per alcuni di detenzione e per altri di lavoro, sono fatiscenti, vetusti e privi di quei minimi requisiti di vivibilità è difficile attuare quello che la legge ci dice. Quindi quello che sto cercando di fare è catalizzare l’attenzione sulle parti strutturali del carcere. Devo dire che sto avendo una risposta e stiamo riuscendo ad avere i fondi perché senza il supporto economico non si riesce a fare niente. Nel giro di quest’anno si riusciranno a realizzare la ristrutturazione di due padiglioni da 100 detenuti. Già uno è stato realizzato, il Genova, l’abbiamo inaugurato e funziona a pieno regime ma con gli altri due padiglioni, il Venezia e l’altra parte del Genova, significa che altre 200 persone detenute e un numero molto più basso di lavoratori, potranno stare in ambienti che non sono difficili da sopportare. La vista di un padiglione e delle stanze fatiscenti, delle docce coi licheni appartenenti a generazioni passate, è difficile da sopportare”. Non solo nuovi padiglioni ma anche altri storicamente critici (i peggiori restano il Milano e il Salerno) saranno ristrutturati o sensibilmente rinnovati, come l’Avellino: “Interventi ci saranno anche per gli altri padiglioni. Sono in piedi i cantieri per ristrutturare il padiglione Roma dove ci sono i tossicodipendenti. Le persone che lavorano coi tossicodipendenti sanno che quel padiglione è uno dei più antichi, è bellissimo ma per farci un museo non per passarci una detenzione col problema della tossicodipendenza. Il padiglione San Paolo è anch’esso al centro di progetti ma ci vorrà del tempo e ancora l’Avellino, padiglione di Alta Sicurezza: nelle carceri laddove ci sono persone provenienti da un determinato circuito, capita che altri siano un po’trascurati. Per esempio questo vale per le donne: un numero irrisorio di detenute rispetto ai maschi ma che stanno in istituti maschili, subiscono un trattamento che definirei residuale. L’Avellino è un padiglione sorto nel 1912 che non ha socialità. Vi rendete conto cosa significa per i detenuti e per gli agenti stare in un posto dove non ci sono stanze per andare a giocare al bigliardino o per incontrarsi e spezzare la monotonia della detenzione? Questo è stato un impegno e adesso ho avuto l’autorizzazione dal Dap per contrarre il numero dei detenuti in quel padiglione – nonostante un trend in crescita di ingressi in carcere, al momento a Poggioreale ci sono oltre 2200 detenuti in 1600 posti – per realizzare, invece che stanze di detenzione, delle stanze di socialità. Questo perché possano uscire dalle stanze, anzi dalle celle, nome decisamente più appropriato”. Novità in arrivo anche per i parenti in visita ai detenuti: “Per quanto riguarda i colloqui, sono andata a vedere il percorso che fanno i familiari: bellissimo lo slogan che viene utilizzato per indicare i familiari, nessun crimine nessuna condanna, in quanto non hanno commesso alcun crimine né ricevuto condanne da scontare. Però diciamo che svolgere i colloqui richiede grande salute, prima di tutto. Ad esempio adesso c’è grandissimo caldo. Abbiamo fatto degli sforzi per far sì che i parenti non stazionassero più fuori dalla struttura come qualche tempo fa, però nel cortile scoperto ci sono tettoie di plastica che lo rendono come una serra. Stiamo facendo il possibile e nel giro di quest’anno apriremo un’altra zona di accettazione colloqui per dare modo alle persone di non svenire per il caldo”. Infine un passaggio sull’importanza del volontariato e dell’apertura del carcere alle realtà associative esterne: “Dunque serve il carcere? Può servire innanzitutto se non è un luogo di grande sofferenza. Sto cercando di aprire il carcere all’esterno. A Poggioreale 150 volontari entrano abitualmente, volontari che sono anche operatori che portano avanti progetti. I volontari servono allo scopo di aiutare l’amministrazione a raggiungere il suo obiettivo e assolvere il compito istituzionale di rieducare, con la consapevolezza che questo è un dovere ma anche che per fare ciò deve essere aiutata dalla società esterna, dal volontariato. Ruolo del volontariato è dunque aiutarci a fare il nostro dovere. Bisogna mettere in campo tutte le forze possibili perché il carcere rispetti i diritti dell’uomo”.

Fabrizio Ferrante

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