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Le matite francesi e le parole al vento

Le matite alzate di Place de la République a Parigi sono la risposta più forte che la Francia potesse dare all’attentato terroristico che ieri mattina ha causato 8 feriti e 12 vittime tra giornalisti e poliziotti, decimando la redazione di Charlie Hebdo, giornale satirico francese da tempo osservato speciale per le sue vignette su politica ed estremismo islamico. Quelle matite stanno a rappresentare che la libertà di stampa è sacra, così come la libertà di espressione, e neanche un attacco così cruento può spuntarla.

Non sono però l’unica risposta che Hollande e l’Europa tutta dovranno dare. E’ giusto rinforzare i controlli e i protocolli di sicurezza, alzare la guardia, tenere la barra dritta e non cedere alla strategia del terrore; ma pure condannare senza appello un episodio che nessun ragionamento su dove si collocano i confini da non valicare quando la satira incontra la cultura di un popolo, la sua religione e sconfina magari nell’insulto blasfemo, nell’offesa e nella provocazione, può giustificare.

Non sono i kalashnikov le armi con cui si può e si deve reagire a delle vignette e ai loro eccessi.

Se è sbagliato cadere nella trappola del “se la sono cercata, bastava un po’ di buon senso” come ha scritto l’editorialista del Financial Times Tony Barber a poche ore dai fatti di Parigi, bisogna anche condannare le generalizzazioni e le sentenze da bar del calcio che invocano guerre sante, crociate e rappresaglie nei confronti di tutti i musulmani. E che in Italia non si sono fatte attendere.

Su tutte, le parole e le generalizzazioni di Matteo Salvini e Maurizio Gasparri, campioni di populismo a destra, saliti in piena trance da campagna elettorale sulla testa del carro che vorrebbe chiudere le frontiere agli immigrati e ai clandestini, ergere muraglie nel Mar Mediterraneo, mettere fine agli sbarchi e – citando l’ex ministro berlusconiano – pagare meno soldi per i riscatti e usarli piuttosto “per armare gli aerei e colpire le centrali del terrorismo”.

Dichiarazioni che si commentano da sole e fanno danni tanto quanto gli attacchi terroristici. Parole che gettano benzina sul fuoco, che non aiutano a capire, ma strumentalizzano per fini di pura propaganda di parte, soffiano sull’odio e alimentano l’imbarbarimento della nostra società, segnale di un malessere spesso tenuto sotto traccia e pronto a esplodere in qualsiasi momento e a fare vittime al pari delle bombe.

 

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