Approfondimenti

Le ville di Posillipo: quanti ricordi, quanta malinconia

In questo percorso narrativo intendo condividere con i lettori una serie di ricordi legati alla frequentazione delle principali ville di Posillipo, una sorta di amarcord che copra 6 chilometri e 60 anni.

Forse non esiste a Napoli nessuno che ha avuto il privilegio come me di godere dell’amicizia o della conoscenza degli eredi di un patrimonio di pietre e di cultura, che dall’epoca imperiale è giunto a noi e che tutti dovremmo conoscere, ma soprattutto salvare dall’incuria degli uomini e dalla furia devastatrice del tempo.

Per chi volesse conoscere in maniera esaustiva la storia delle ville descritte in questa veloce carrellata, non ha che da consultare i celebri libri scritti sull’argomento, quali quello di Renato De Fusco, uscito nel 1990, ma ancora in commercio, o la bibbia su Posillipo, il monumentale volume di Italo Ferraro, dalla lettura esaltante e dal costo esorbitante.

Il racconto comincia lì dove sorgeva la villa di Vedio Pollione, divenuto ricco col commercio del grano ed amico dell’imperatore Augusto ed in epoca moderna la dimora di Ambrosio, anche lui re del grano e sodale del potente ministro Cirino Pomicino. E fu proprio il braccio destro di Andreotti a favorire il nostro incontro per visionare uno spettacolare quadro di Luca Giordano e preparare il relativo expertise.

Dopo aver ammirato il dipinto e sorbito un eccellente caffè, il padrone di casa candidamente chiese: “Vogliamo andare a teatro?”.

“Vi è qualche spettacolo interessante da vedere all’Augusteo o al Diana?”

“Intendevo visitare il mio teatro personale”.

Con grande meraviglia ci recammo in un’area contigua alla sua villa dove potemmo ammirare, ben conservato, uno splendido teatro in grado di contenere 2.000 spettatori  un Odeion e altre strutture di sommo interesse archeologico, da un ninfeo a delle antiche terme.

Negli anni, per fortuna dei napoletani e per sfortuna del nostro anfitrione, il monarca del grano incappò in una serie di disavventure giudiziarie, che si conclusero con l’esproprio delle sue proprietà, le quali, passate allo Stato, sono ora di godimento pubblico e sono visitabili ogni giorno, basta percorrere da via Coroglio, l’imponente Grotta di Seiano realizzata in epoca romana dall’architetto Lucio Cocceio, che fu riportata alla luce, riaperta e riadattata nel 1840 da Ferdinando II di Borbone. Il traforo, della lunghezza di circa 780 metri, attraversa la collina tufacea di Posillipo, collegando l’area di Bagnoli e dei Campi Flegrei con il Parco sommerso della Gaiola.

Il colpo di grazia al percorso terreno del nostro ospite fu la sua morte violenta: ucciso dalla servitù, che voleva rubare i gioielli di famiglia.

Trovandoci a parlare di scalogna, accenno brevemente a due fugaci visite, ospite di Grappone, della dimora posta sull’isolotto della Gaiola  e celebre non tanto per il fantastico parco sommerso che lo circonda, quanto per un’oscura maledizione che da decenni incombe sui proprietari e dalla quale credevo fossero immuni i visitatori. Viceversa, siamo nel 1978, dopo pochi mesi dalla frequentazione della casa del noto assicuratore d’assalto, entrambi fummo coinvolti in una penosa disavventura fiscale, dalla quale ho impiegato anni e anni per uscire indenne.

Non parleremo di Villa Imperiale per la quale invito i lettori a leggere il mio articolo riguardante l’accorsato stabilimento balneare: Com’era bella villa Beck .

Continuando il nostro percorso verso via Caracciolo e superato il villaggio di Marechiaro, c’imbattiamo, all’altezza del famigerato Scoglione, regno incontrastato di bagnanti di basso rango, amanti della frittata di maccheroni e della parmigiana di melanzane, che consumano tra un tuffo ed il rito dell’abbronzatura, nella tenuta Capasso: una enorme superficie verde di oltre 100.000 metri quadrati la quale, dall’alto protrude, tra cespugli di fiori ed il cinguettio degli uccelli, sulla linea del mare, costeggiando un’antica scalinata, sconosciuta quanto utile, che permette di raggiungere il mare da via Posillipo.

Il bordo della proprietà è costellato da una serie di ville e villette  che permettono di ascoltare il fragore delle onde, di percepire l’odore del salmastro e godere di un panorama mozzafiato. Un paradiso terrestre che da poco è stato scoperto da un’importante rivista internazionale che gli ha dedicato la copertina.

Il capostipite della dinastia Arturo Capasso è stato per me sempre, più che un amico, un fratello maggiore, da cui prendere esempio ed accogliere i consigli. Ci separavano 12 anni di età e di saggezza. E’ stato l’anima del salotto culturale di mia moglie Elvira; mai un’assenza in 10 anni, sempre attento in prima fila con la moglie Marianna. Da lui partivano le domande e gli interventi più stimolanti, che inducevano i relatori ad approfondire gli argomenti. Ha collaborato con le sue personali amicizie a far intervenire personaggi famosi e con il suo entusiasmo elettrizzava il pubblico.  Ufficialmente la sua attività era dirigere il suo negozio di tessuti con 40 dipendenti in zona Mercato, ma egli da intellettuale raffinato amava leggere e scrivere. Giornalista professionista aveva collaborato ad importanti testate, dal settimanale Gente alla gloriosa rivista Scena Illustrata, sulla quale mi invitò a scrivere dal 1994, collaborazione che da venti anni non si è mai interrotta. Perfetto conoscitore delle lingue, aveva soggiornato come borsista in Unione Sovietica, diventando un acuto osservatore della realtà comunista, che ha riportato in alcuni suoi libri. Una figlia architetto, 3 nipoti, una splendida villa a Posillipo sul mare con ettari di verde, che in parte coltivava, vestendo alla perfezione i panni del contadino, per dismetterli la sera e, novello Macchiavelli, indossarne di eleganti per dialogare con gli Antichi e con i giganti della letteratura russa che amava svisceratamente.

Da qualche anno, dopo una malattia sopportata con paziente rassegnazione, ha lasciato questa valle di lacrime. Almeno ufficialmente, forse per gli altri, per me vivrà per sempre nel mio cuore, dove ha un posto di riguardo.

Quasi ogni sera Arturo veniva trovarmi nel mio giaciglio a Rebibbia, a rendere lieti i miei sogni, a farmi compagnia, mitigando la mia tristezza. Discutevamo affacciati verso il mare nella sua splendida villa o passeggiavamo ad occhi chiusi per via Caracciolo e da napoletani veraci sapevamo distinguere chiaramente tra il fragore delle auto clacsonanti ed il frangersi delle onde sulla scogliera di Mergellina.

Basta percorrere pochi metri e c’imbattiamo in villa Fattorusso, nota al pubblico per essere divenuta da alcuni decenni il più costoso stabilimento balneare di Posillipo: Le Rocce verdi , dotato di un ampio parcheggio, di una spettacolare piscina e di una affascinante discesa a mare tra anfratti, scogli e grotte misteriose. Oggi è un luogo pubblico con un invitante ristorante, la possibilità di fittare kayak e canoe, trascorrendo una giornata gaia e gratificante. I figli degli antichi proprietari, Marco ed Ambra Bartolini, erano amici del mitico Gianfilippo Perrucci e di conseguenza, per la proprietà transitiva, amici del sottoscritto, che ha potuto così usufruire circa mezzo secolo fa di una serie di bagni a sbafo indimenticabili.

Bastano poche decine di bracciate e ci troviamo sugli scogli che sottendono al parco Sud Italia, un condominio di lusso, dotato anche di una invitante piscina, costituito da una seria di villette da sogno, di cui la più bella, che domina dall’alto il mare, appartiene alla famiglia dell’ingegnere, che negli anni Cinquanta ha regalato a Napoli questo gioiello che tutto il mondo ci invidia. Rossana Malatesta, vedova del costruttore, è stata per anni assidua frequentatrice del cenacolo letterario organizzato da mia moglie Elvira nella nostra villa e noi, per ricambiare, ogni tanto accettavamo i suoi inviti per un tuffo esaltante.

Prima di proseguire il nostro percorso vorrei parlare del degrado di tante ville, le più fortunate divenute anonimi condomini, le altre in preda indifese alla caducità del tempo.

E pensare che li definivano «casini», quei superbi palazzi che degradano sul mare di Posillipo. Mica per offesa, casino stava per delizia, nel linguaggio di fine ‘700 che lusingava la villeggiatura borghese. Oggi sono un tesoro in gabbia, ingoiato da flutti ed erosioni, offeso dall’ illegalità. Una cartolina da godere in rada. Proprio così, la magia non bacia più quei fiordi blu che disegnavano la splendida mappa delle cale di Posillipo, dalla Gaiola a Palazzo Donn’ Anna, tra grotte romane e ville imperiali. Chi ricorda la spiaggia del Cenito, ricercatissima fino a qualche tempo fa? Di quei granelli resta un esile brandello. Ed il molo vicino alla Villa della Grotta San Giovanni? Ora è una piattaforma di sporcizia e desolazione. Resta la fama di quelle cale d’ autore, da ammirare al largo o da scrutare dietro cancelli sbarrati. Come la Grotta Romana , ex tempio sacro, oggi sembra abitata da fantasmi. Antichissima, nacque come caverna preistorica, celebrata poi dai romani, infine dalla nobiltà. Diede il nome ad un famoso locale notturno, il luogo più ambito dal re d’ Egitto Faruk, e da una giovane Gloria Christian. Tutto finito, anche il vecchio stabilimento in legno è sparito. Svanito come il Lido del Sole, glorioso bagno pubblico gestito dal poeta Salvatore Serino, tra Villa Mazziotti e Villa Martinelli. Antonio Esposito,  barbiere caro ad Antonio Bassolino, se le ricorda tutte, anche Villa Lauro. «Su una striscia di spiaggia si giocava allo «scannapopolo», 10 contro dieci, 40 anni fa, quando a Posillipo si cominciò a pescare con il ferro dell’ ombrello e la molla delle mutande. E che pesca, tiravamo su sparaglioni e mazzoni a volontà». La leggenda ha sfiorato la cala di San Pietro a’ due frati, meta ambita, protetta da due celebri scogli, si raccontava avesse ospitato una cappellina dedicata all’ Apostolo. Di quegli scogli, spianati dalla furia del mare, non resta nulla. E’ sempre off limits Villa D’ Avalos, come Villa Peirce, divorate dall’ invidia dei natanti in rada.

Nell’ ex ospizio di Villa Marino, un tempo Bagno dei Preti, il principe di Piemonte Umberto si tuffava qui, tra Riva Fiorita e Villa Volpicelli, insieme ai “guaglioni” E nelle 5 grotte aperte sul mare si costruivano apparecchi da bombardamenti di giorno e di sera, sopra la piattaforma, si ballava al suono del mare. A vederla quella piattaforma, sembra una base abbandonata. Come le cabine. Il mare una cloaca.

A cala Selvina, qualcuno provò ad aprire un locale al pubblico: attirò gli scafi dei contrabbandieri in gita domenicale. Chiuse presto. E Villa Rosebery? Chi provasse ad espugnarla s’ imbatterà in motoscafi d’ altura, carabinieri e polizia segreta, a guardia della residenza presidenziale. In quegli anfratti marini, cari ai viaggiatori del Nord e agli antichi romani, gli stabilimenti «aperti» si contano. Sopravvive il più antico, Bagno Elena, 160 anni di storia e un lenzuolo di sabbia per godere (nel caos) la vista sul Golfo. Villa Imperiale, splendido scrigno con piscine di acqua salata protetto dalla Villa degli Spiriti di Pollione ospitò Giulio Cesare e Tiberio: oggi è il lido più ambito di Napoli, forse perché frequentato dal sottoscritto.

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