Officina delle idee

LUIGI DE MAGISTRIS E IL SUO NON RISOLTO CONFLITTO CON L’AUTORITA’ ED IL POTERE.

“La Gloriette” fa discutere, non solo per la recente visita dei reali di Inghilterra. La storia rispetta tutti gli archetipi di genere del made in Italy: un bene confiscato alla mafia, un bando di assegnazione di gran parte dello spazio, una cooperativa sociale che lavora sulla disabilità che vi partecipa (forte di sette anni di gestione di una porzione e di un progetto economicamente sostenibile), un finale non troppo a sorpresa. “Agende Rosse Campania”, costola regionale dell’associazione di Salvatore Borsellino, ottiene il titolo su un piano e oltre diecimila metri di terreni. Produrrà vino.

Non ci impelaghiamo nel delicato tema dell’inclusione sociale dei disabili, inutile sciorinare la solita litania indignata. Andiamo oltre: l’episodio regala uno spunto per riflettere sulle contraddizioni interne alla retorica di De Magistris sui beni comuni. Una narrazione, questa, figlia della stagione politica che regalò al Sindaco il suo primo mandato e che trovò immediata applicazione nella nota delibera sulla gestione di otto spazi sociali nel centro cittadino. Tale decisione incrociava la questione della redistribuzione di servizi alla comunità, con l’opportunità politica dell’ex magistrato di radicarsi sul territorio grazie al supporto del movimentismo sociale (beneficiario dei beni). L’operazione, dai più banalizzata come “creazione del braccio armato della Giunta” o ancora “avanguardia ribellistica cittadina”, dava comunque forma ad azioni di welfare comunitario, importando a Napoli una altrove consolidata tradizione amministrativa di riuso sociale degli immobili comunali dismessi. Fin qui tutto bene.

Rigenerazione dello spazio urbano, diritto alla città, inclusione: ma per chi? “La Gloriette” è lì a ricordarci che “la logica dei beni comuni” non è una costante dell’amministrazione o, meglio, non è quella la serratura attraverso cui osservare l’azione di governo della città. D’altronde, una simile contraddizione nella gestione dello spazio pubblico l’abbiamo notata anche in altre scelte, prime tra tutte la sfilata di Dolce e Gabbana nel Borgo Orefice e N’Albero. Dunque, la domanda sorge spontanea: nella gestione dello spazio, dove finisce la retorica del Sindaco e dove inizia una seria cultura amministrativa sui beni comuni? La risposta potrebbe arrivare, nei prossimi mesi, osservando l’azione del Comune per quanto riguarda la scelta dei soggetti che beneficeranno degli immobili del complesso dell’ex ospedale militare Trinità delle Monache: un gigante di diecimila metri quadrati in una zona, tra Quartieri Spagnoli, Avvocata e Montesanto, con un’altissima densità abitativa e carente di servizi.

Non solo uso e gestione dello spazio, però. E’ l’intera narrazione sull’identità cittadina di De Magistris ad essere frutto di un controsenso, voluto o non voluto poco importa. DeMa è schizogeno: è un“tutto”, racchiude in sé maggioranza ed opposizione, sistema ed antisistema. Convivono in lui esclusione ed inclusione, potere e contropotere. Agita la bandiera del rinnovato senso di comunità cittadina, ma si nutre di egocentrismo. Napoli, politicamente parlando, è tutta dentro De Magistris e non riesce a “produrre altro”. Il Pd napoletano, infatti, ci ha messo del suo. L’ultima proposta di “un’alleanza con De Magistris per la Città Metropolitana” certifica la morte in vita dei democratici. A corto di idee, di voti ( ma non di tessere) e di visione, il Pd Napoli, o quello che ne resta, ruota intorno al Sindaco-Sole, alla sua “narrazione bugiarda e bipolare.”

La “Napoli aperta, città della Pace” è, allo stesso tempo, la città che nega il diritto di parola sul suo territorio a quel “pataccaro” di Salvini? Una Napoli aperta, ma chiusa in se stessa: eccola la contraddizione in termini, ecco che le due cose non stanno insieme. Siamo politicamente nelle mani di un uomo che, prossimo ai cinquant’anni, non ha ancora risolto il suo “conflitto con l’autorità”, con il potere. Una sorta di fase adolescenziale prolungata fino all’andropausa. De Magistris è in contrapposizione perenne, farebbe opposizione financo a se stesso: detesta il potere che incarna, per questo lo svilisce. Sopravvive per il consenso, per l’applauso e l’approvazione, come tutti quelli in profondo conflitto con loro stessi. Ecco perché anche la politica dei beni comuni, quella della Napoli-comunità, si infrange contro il muro di gomma della costruzione del consenso personale.

Se il primo successo elettorale ha una sua spiegazione, una sua logicità, il secondo mandato è il frutto, tra le altre cose, di una narrazione “onnicomprensiva”: De Magistris ha fagocitato tutto, solleticando un meridionalismo vecchio, risibile, ostile. “Noi contro gli altri, noi contro il sistema, noi contro il potere.” Eppure si è “sistema”, eppure si è “potere”. Per chiunque altro, una narrazione così debole avrebbe vita breve, respiro cortissimo. Non per lui, non a Napoli, non con questo Pd.

MURO MALAFRONTE E RICCARDO BUONANNO ( Qualcosa di Napoli)

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