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MAFIA, CAMORRA, ’NDRANGHETA, SACRA CORONA: ORIGINI, EVOLUZIONI, CARATTERI COMUNI E DIFFERENTI

La criminalità organizzata in Italia si presenta con profonde differenze ma con un elemento comune fondamentale: Il controllo del territorio. Anche quando la sua attività si espande a livello internazionale essa non perde mai la presa sul territorio di riferimento.

 Si tratta di modelli di organizzazione criminale che sono stati esportati in tutto il mondo, e le loro varie caratterizzazioni hanno origini diverse.

La Camorra ha origini urbane e dalla città si è successivamente espansa alla provincia; è un fenomeno campano che al più si estende al basso Lazio.

La Mafia nasce nelle campagne come strumento di controllo delle tensioni sociali represse con ferocia. Nasce prima come strumento della grande proprietà fondiaria fino a scalzarla ed a controllare direttamente le campagne, e da esse parte alla conquista delle città mediante le estorsioni, il controllo dell’attività edilizia e delle attività economiche. La ‘Ndrangheta si caratterizza invece per la sua rigida organizzazione per clan familiari impermeabili a pentitismi e dissociazioni.

La Sacra Corona, poi, ha più caratteristiche mafiose che camorristiche. La prima e fondamentale differenza fra camorra e mafia è che mentre la prima è organizzata per clan legati a parti definite di territorio, spesso in lotta far di loro, la seconda pur avendo anch’essa una ripartizione territoriale (i mandamenti) ha una direzione centrale che ne coordina le attività. Ha una estensione territoriale negli Usa con la quale conserva molti legami anche se quella d’oltreoceano si è resa autonoma.

Una forte rete di legami internazionali, in particolare col Sud America come origine del traffico di droga, caratterizza la ‘Ndrangheta.

La Sacra Corona si limita a controllare la Puglia ed i territori confinanti senza intervenire né in Calabria né in Sicilia.

In rapporto alla politica hanno comportamenti diversi. La Camorra tende a conquistare influenza politica nei piccoli e medi comuni in cui è più facile condizionare i partiti per controllare il settore degli appalti pubblici. Quindi la camorra tende molto al controllo dei politici locali e spesso si adopera per avere uomini di fiducia alla guida dei comuni

La Mafia, pur seguendo questa traccia, ha tuttavia un maggior interesse nella politica nazionale. Di qui la sua attenzione ad inviare in Parlamento uomini di fiducia. La sua evoluzione coinvolge attualmente anche il controllo delle banche e l’investimento delle notevoli disponibilità economiche nelle attività finanziarie con una gestione affidata a professionisti di fiducia. Non dimentichiamo che il primo vero delitto di mafia fu l’omicidio Notarbartolo. Costui, uomo integerrimo della Destra storica, fu inviato a Palermo per mettere ordine nel Banco di Sicilia dominato dalla mafia che utilizzava i fondi della banca per le sue attività, la concessione di prestiti senza garanzie ai suoi affiliati ed addirittura per giocare in Borsa allo scoperto lucrando sulle plusvalenze e scaricando sulla Banca le perdite. Notarbartolo intervenne con decisione azzerando il consiglio d’amministrazione e mettendo i bilanci sotto rigido controllo, facendo rientrare le esposizioni senza garanzie. Nel pieno della sua attività fu ucciso a coltellate su un treno diretto a Trabia dove si recava per controllare le sue proprietà. Il mandante dell’omicidio fu l’onorevole Palizzolo, uomo della mafia in Parlamento (a conferma della tesi esposta dianzi). Palizzolo fu assolto in un processo farsa a Roma ed accolto a Palermo, dopo l’assoluzione, come un trionfatore. Nota storica: questo stesso Palizzolo si recò negli USA ed in una famosa assemblea a New York convinse i vari clan mafiosi ad allearsi in una unica associazione criminale. Egli fu in effetti il fondatore della Mafia americana così come siamo abituati a conoscerla.

La camorra non ha mai avuto tali aspirazioni. Una caratteristica operativa della Mafia è quella di sacrificare qualche membro di minore importanza o caduto in disgrazia per allentare la pressione repressiva dello Stato. Riina è stato la vittima più conosciuta di tale procedura.

C’è un proverbio mafioso che illustra questa tattica, “càlati junco ca passa la china”, vale a dire “abbassati giunco perché sta passando la piena”, ovvero bisogna sparire quando la pressione è forte ed essere pronti a riapparire appena la “piena” è passata.

Il core business della ‘Ndrangheta è il traffico di droga. Di qui i suoi forti legami con la criminalità organizzata del Sud America, con qualche propaggine fino all’Australia. Spesso i traffici e la loro organizzazione sono gestiti da veri e propri ambasciatori calabresi. La ‘Ndrangheta, forte della sua rigida chiusura in clan familiari, nonostante il forte impegno internazionale non rinuncia al ferreo e feroce controllo del territorio gestendo, fra l’altro, la tratta dei braccianti clandestini; su questo modello si muove anche la Sacra Corona.

Come tutti i fenomeni umani anche queste organizzazioni evolvono sia per spinte interne sia in reazione all’azione repressiva dello Stato che spesso impone drastici cambi nei gruppi dirigenti.

È convinzione unanime che lo strumento repressivo non basti di per sé ad eliminare il fenomeno della criminalità organizzata, perché può anche avere effetti inaspettati. A Napoli, ad esempio, i successi delle forze dell’ordine hanno decapitato i clan, ma ciò ha avuto come effetto la messa in libertà delle giovani leve.

Perciò la città si trova ad affrontare un fenomeno per noi nuovo: la guerra fra bande giovanili che è un dato strutturale della vita delle periferie delle città americane e che assume aspetti terrificanti in Sud America. Questo nuovo tipo di criminalità non si interessa della politica né di avere coperture istituzionali. È guerra allo stato puro per il controllo delle piazze di spaccio e per la gestione delle notevoli risorse che il traffico genera.

Rispetto a questi fenomeni c’è una debolezza intrinseca nell’azione dello Stato: la sua perdita di autorità nei territori controllati. La vita nei quartieri inquinati è terribile e la gente comune è spesso sottomessa sia per paura sia per le briciole del traffico che consentono di sopravvivere. C’è una mentalità diffusa in certi quartieri, se non di approvazione, di tolleranza verso fenomeni che da tempo ne caratterizzano la vita e che li fanno considerare quasi “normali”.

La battaglia culturale contro questa mentalità assuefatta al clima di prevaricazione sarà lunga e richiede un deciso intervento dello Stato con investimenti mirati al recupero della dispersione scolastica e al rafforzamento della rete di protezione sociale. Purtroppo la tendenza va in senso opposto, e proprio in questi quartieri è carente la strutturazione sanitaria, le scuole sono tenute in maniera pessima e manca del tutto ogni struttura in assistenza alla prima infanzia. La minacciata chiusura delle strutture di assistenza al parto agli Incurabili, all’Annunziata, sono la pratica dimostrazione che la ragioneria, la rigida ricerca dell’equilibrio contabile che non tiene conto dei risvolti sociali di certi provvedimenti non serve nelle crisi sociali. Questi provvedimenti accentuano la sensazione di abbandono di questi quartieri e rafforzano l’autorità dei clan. Capisco che nei quartieri bene dove vivono i saggi ricercatori dell’equilibrio di bilancio a tutti i costi questi problemi vengano snobbati; qui però dovrebbe sovvenire la politica vera, quella con la P maiuscola.

Purtroppo non vedo né a livello locale né a livello nazionale la consapevolezza della gravità del problema. Sempre pronte le anime belle a sottoscrivere appelli anti mafia o anti camorra lasciando a qualche generoso sacerdote o a qualche volenterosa associazione il compito di stare in trincea a difendere perlomeno il nostro onore.

Ritengo che sia giunto il momento che le articolazioni territoriali dei partiti. Il PD in primo luogo, ma anche gli altri intervengano concretamente perlomeno ad affrontare la battaglia culturale contro il permanere di mentalità che danno prestigio ai delinquenti.

Come dice il padre Dante: «Qui si varrà la tua nobilitate», non nella diatriba sulle primarie o sulla autocelebrazione della propria pretesa onestà.

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