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Marechiaro e la chiesa di S. Maria del Faro

Per raggiungere il borgo di Marechiaro si percorre la via eponima, che parte dove si incrociano via Boccaccio, via Coroglio e l’ultimo tratto di via Posillipo, che nei 200 metri finali assume il nome di via S.Strato.
La strada, durante l’estate è transitabile in auto solo dai residenti o da coloro che si recano a villa Imperiale , ma scendere a piedi dolcemente verso il mare è un sollievo per lo spirito e non impegna i muscoli, a differenza della risalita, che richiede un corpo agile e se possibile giovane.
Lentamente si passa davanti a ville signorili, a quel che resta dei vigneti di Posillipo, che producevano un vino prelibato sin dai tempi dei Romani, ad una succursale della Casa dello scugnizzo, al ristorante la Fazenda, alla scuola elementare Cimarosa, a me particolarmente cara perché, giusto un secolo fa è stata frequentata da mia madre, all’ingresso dello stabilimento villa Imperiale, per arrivare poi a delle scale che conducono al mare
Nell’ultima curva compare la sagoma della chiesa di S. Maria del Faro. Il suolo su cui sorge, è uno dei più ricchi di storia romana: infatti l’edificio, piccolo gioiello architettonico a picco sul mare, oggi contiene alcuni resti della villa romana di Pausilypon che si ritiene sorgesse sul luogo dell’antico faro romano (da qui deriva il nome dato alla chiesa). Torre di avvistamento contro le incursioni dal mare, il faro fu a lungo gestito autonomamente dagli abitanti locali per imposizione del viceré de Ribera duca di Alcalà.
Di questa chiesa si ha traccia già nel XIII secolo, quando intorno nacque il borgo di pescatori chiamato originariamente Mare Planum e poi Marechiaro e nel XVIII secolo fu oggetto di un restauro su disegno del noto architetto Ferdinando Sanfelice. A commissionarlo, la famiglia Mazza, proprietaria del suolo che aveva fatto erigere la chiesa nel 1680. In quell’area, ha riferito lo stesso Francesco Maria Mazza, c’erano due colonne e l’architrave del tempietto dedicato alla dea Iside – uno dei culti più vivi tra i Romani – ma non molto di più, perché pare che Marechiaro fosse stata più volte depredata dal duca di Medina per adornare il suo palazzo.
L’edificio è un’opera barocca a navata unica con cappelle: all’interno, alcuni pezzi provenienti dagli scavi romani, come attestano due sarcofagi inglobati nelle pareti esterne, sui quali è stato poi apposto lo stemma della famiglia Mazza. All’interno, anche una edicola che ritrae la Madonna del Faro con vesti greche. Dietro l’altare maggiore tardo barocco si vede un’abside, forse ultimo ricordo del sacello in cui nel Cinquecento fu affrescata una Madonna col Bambino. Sui due altari laterali sono poste tele settecentesche di ignoto raffiguranti a sinistra San Nicola ed a destra San Giuseppe col Bambino ed altri santi . Sul retro della chiesa si può ammirare il caratteristico campanile con terminazione piramidale

Anticamente il borgo assunse il nome Marechiaro non, come comunemente si pensa, dalla trasparenza delle acque del mare di Posillipo, ma dalla loro quiete. Già in alcuni documenti del periodo svevo si parla infatti di mare planum tradotto in napoletano mare chianu, da cui l’odierno Marechiaro.
Il particolare che più ha contribuito alla mitizzazione di questo borghetto è la cosiddetta Fenestella. La leggenda narra che il poeta e scrittore napoletano Salvatore Di Giacomo, vedendo una piccola finestra sul cui davanzale c’era un garofano, ebbe l’ispirazione per quella che è una delle più celebri canzoni napoletane: Marechiare. Tutt’oggi la finestra esiste, e c’è sempre un garofano fresco sul davanzale, oltre ad una lapide celebrativa in marmo bianco con sopra inciso lo spartito della canzone e il nome del suo autore (morto nell’aprile del 1934). L’Archivio della Canzone Napoletana testimonia l’esistenza di quasi duecento canzoni classiche dedicate a questa piccola zona di Posillipo, o che la nominano soltanto, ed un gran numero di poesie.
Marechiaro è un piccolo borgo di pescatori a picco sul mare dove si respira ancora un’atmosfera unica con ristoranti sul mare, reti ammassate e vecchi gozzi di legno. Il borgo ebbe ed ha tutt’oggi grande fama sopratutto per lo splendido panorama sul golfo di Napoli dal Vesuvio fino ad arrivare alla penisola sorrentina e all’isola di Capri che compare esattamente di fronte alla spiaggia
Il ristorante più famoso, senza far torto agli altri, è Cicciotto, dove oltre a mangiare divinamente si può( sono ricordi di giovinezza) passare dalla teoria alla pratica in una camera dei piani superiori e smaltire così allegramente una sbronza.
Non vi è null’altro di più magico e indimenticabile di sorseggiare un drink presso uno dei tanti bar o godersi il pranzo in uno dei caratteristici ristoranti, tra terrazze mozzafiato e succulente portate a base di pesce fresco.
Tra gli stabilimenti balneari, oltre a Villa Imperiale, posta accanto al Palazzo degli spiriti, che alcuni chiamano anche la Villa di Virgilio, sostenendo che di tanto in tanto, vi si manifesti lo spirito del Poeta, pronti a giurare di aver sentito declamare, da una voce misteriosa, i suoi versi, ricordiamo il Lido Marechiaro  frequentato in epoca littoria dalle mie zie, oggi centenarie: Giuseppina, Elena e Adele, rimaste signorine nonostante all’epoca sfoggiassero costumi osè, il Lido delle rose  e concludiamo in bellezza con il celebre Scoglione, una suggestiva scogliera ad ingresso libero, facilmente raggiungibile in barchetta, frequentato da gentaglia in un tripudio di frittate di maccheroni e donne ipercolesterolemiche. Per raggiungere lo Scoglione o per effettuare delle interessanti e suggestive escursioni, basta affidarsi alla bravura degli storici barcaioli di Marechiaro, che hanno fatto di Calata Ponticello, un attracco professionale e organizzato.
L’escursione in barca consente di raggiungere anche il parco sommerso della Gaiola (area marina protetta) e fare un bagno indimenticabile

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