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NAVE “CAVTAT”: QUEI BIDONI TOSSICI (NON DEL TUTTO) RECUPERATI AL LARGO DI OTRANTO

Era il 14 luglio 1974 quando a seguito di una terribile quanto assurda collisione tra navi al largo di Otranto, affondava la nave “Cavtat”, poi oggetto di una delle più importanti opere di recupero del carico che si siano registrate nei mari italiani a seguito dell’attività d’inchiesta dell’allora pretore di Otranto e poi senatore Alberto Maritati.

In un bell’articolo del 05 marzo 2014, il giornalista Gianni Lannes, ricordava che “La Cavtat era partita il 28 giugno dall’Inghilterra, porto fluviale di Manchester. Destinazione: Rijeka-Fiume. 2.800 tonnellate di carico. E in più, duecentosettanta tonnellate di piombo, tetraetile e tetrametile, in 909 bidoni trasportati per metà sopracoperta e per l’altra metà nelle due stive. La Lady Rita [ndr l’altra nave], invece vuota, navigava in senso inverso:destinazione Djela e Casablanca. Di questi, ufficialmente 863 furono recuperati nel 1978.” Ed infine, sempre lo stesso giornalista pone un’inquietante domanda: “Una parte dei veleni è ancora nel relitto della Cavtat?”. Ed è questo quesito che oggi, specie dopo la diffusione dei dati epidemiologici sull’incidenza di tumori nel Salento ed in particolare in alcuni comuni rivieraschi, torna alla mente per cercare di comprendere se vi siano concause per quella che sembra una vera e propria epidemia che si diffonde nella provincia di Lecce, e che probabilmente non è determinata da una sola fonte, ma da più scaturigini che andrebbero tutte indistintamente vagliate.

Nel corso degli ultimi quarant’anni, infatti, molti si sono chiesti se le operazioni di bonifica avessero risolto quello che poteva certamente essere un disastro ambientale di proporzioni indefinibili, anche perché il relitto giace ancora a 93 metri di profondità e solo a tre miglia dalla costa salentina, mentre risulta tuttora in vigore l’ordinanza della capitaneria di Porto di Brindisi che vieta la navigazione e la sosta in quel punto. Sembra dunque arrivata l’ora delle verifiche a partire dal Ministero dell’Ambiente, data anche l’evoluzione delle tecniche e delle ricerche che si è realizzata nel corso degli ultimi quattro decenni. Verifiche che vorremmo si estendessero a tutta la costa salentina per controllare se vi siano altre “Cavtat” o altri carichi pericolosi ancora in fondo al nostro meraviglioso mare, al posto delle inutili indagini petrolifere.

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