Economia e Welfare

«Non tornerei in Italia». Il pensiero unico degli italiani a Londra

«Sono, ormai, quasi due anni che vivo qui e non penso di tornare in Sicilia. Quando sono partito avevo perso anche quel lavoro precario che avevo». Inizia così il racconto di Carmine, un ventottenne catanese che è partito due anni fa alla volta della più grande capitale europea. È una delle mete di chi, stanco di non riuscire a trovare lavoro in Italia, seccato dalla corruzione e dall’assenza di meritocrazia, “scappa” verso un paese estero. Inghilterra e Germania ma anche Spagna o est Europa, l’America o i paesi orientali. Tutti i paesi meglio del nostro che risulta immobile ed ingessato tra politica e burocrazia.

Le istantanee di Londra da Greenwich o Genova sotto il fango dei giorni scorsi rendono perfettamente le differenze: la prima dinamica, la seconda che cade sotto i colpi della pioggia. Nella città della regina sarà forse un miraggio, un giorno, non vedere più alcuna gru che in pochi mesi costruisce palazzi su palazzi, accostando i moderni a quelli storici o semplicemente vecchi in un gioco di mattoni o acciaio e vetro che non stonano ma la rendono sempre più particolare.

A Genova, come in molte altre città d’Italia si aspetta sempre che la natura non faccia il proprio corso, perché altrimenti scene come quelle dei giorni scorsi si ripeteranno sempre con la politica che assiste inerme ad un film visto, purtroppo, troppe volte.

«Avevo un lavoro fisso un po’ di anni fa – continua Carmine – che ho lasciato per seguire un amore. Col senno di poi, dato che hanno licenziato molti anche li e per gli altri hanno ridotto drasticamente il lavoro e lo stipendio, posso pensare di non aver fatto male. Ho continuato a lavorare con mio padre nel settore delle costruzioni e sono stato in Abbruzzo nei giorni e mesi immediatamente successivi al terremoto a dare una mano. Ho continuato con lavori saltuari fin quando, poi, ho deciso di salire qui. Adesso lavoro in un hotel, nella manutenzione, con un contratto a tempo indeterminato. Conto di mettere un po’ di soldi da parte per poter conseguire gli attestati che mi servono per continuare qui il lavoro che facevo in Italia».

È una lettura “romantica” di chi ha dovuto lasciare la propria terra confidando di «Tornare solo se si inizia una rivoluzione». Perché nell’immaginario collettivo di chi vede lo stivale dall’estero la politica non riuscirà mai a cambiare se stessa con il lento scorrere del tempo ma solo con eventi traumatici.

Eppure oggi la capitale inglese non offre più gli stipendi che offriva anni fa, anzi molti lavorano con lo stipendio minimo che supera di poco le 6 sterline l’ora. Con gli affitti in costante aumento così come i trasporti, vivere a pochi passi dalla City vuol dire spendere quasi tutto lo stipendio. La nota positiva? La meritocrazia e la mobilità. Semplicisticamente: chi inizia come lavapiatti si può trovare nel giro di pochi mesi ad essere il manager in quel locale.

Eppure, soprattutto negli occhi dei giovani meridionali si legge il dispiacere del distacco forzato da una terra ricca di risorse naturali ma priva di lavoro. Con una classe dirigente incapace di governare cambiamenti e meno che mai saper organizzare il “Turismo”.

E si, una parola piccola ma che racchiude il dinamismo di molte città e nazioni in giro per il mondo. Racchiude la capacità di riuscir a far muovere i flussi turistici in armonia con i cittadini che vi abitano. La bravura di saper valorizzare tutte le ricchezze locali creando le condizioni per nuova occupazione, sperando di non dover più assistere più a scene come quelle che di continuo capitano negli scavi di Pompei dove i turisti raccattano souvenir rubando pezzi di storia. Una regia unica che sappia tenere insieme tutto è il primo elemento indispensabile per l’evoluzione della nostra penisola.

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