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Renzi, l’Italia e la politica. L’arte della parola bella

Renzi non ha dubbi: il berlusconismo e l’antiberlusconismo hanno messo in pausa il paese per vent’anni. Lo dice chiaramente sul palco del Meeting di Comunicazione e Liberazione di Rimini: “L’Italia ha trasformato la Seconda Repubblica in una rissa permanente ideologica sul berlusconismo e ha smarrito il bene comune. E mentre il mondo correva, è rimasta ferma in discussioni sterili interne”.

Da un lato non possiamo che essere d’accordo, la polemica spesso ha celato altri scaltri movimenti o non-movimenti. Eppure, fa male veder deflagrare, anche per queste ragioni, la politica, quella vera, quella che parlava dalle piazze, quella dei fatti che avevano dietro le parole. È convinzione di chi scrive, infatti, che troppo spesso oggi si macchi l’ideologia di un’accezione esclusivamente negativa: questi politici sono chiacchieroni, fanno solo chiacchiere, si sente dire – e con giusta causa – nelle case e nei bar, in una discussione tra amici o durante il pranzo domenicale. Povera parola! Bistrattata e colpevolizzata. Ma la parola politica non è solo arte del convincimento e del raggiro. Cosa succederebbe se dietro i fatti scomparissero le parole? Cosa succederebbe se i politici d’oggi in poi s’industriassero di fare soltanto senza dire, senza annunciare niente. Le parole sono necessarie, i programmi e le ideologie politiche ancor di più. Perché se noi oggi abbiamo il potere di dire quel politico non ha fatto quanto diceva è proprio perché lo aveva detto, è grazie alla parola che ci accorgiamo del tradimento.

Ecco perché ci piacciono di più queste parole del Presidente del Consiglio: “Se vuoi un sistema che funziona devi far sì che quegli elettori che vanno a votare possano avere dei decisori politici che fanno le cose che hanno detto, e la volta successiva eventualmente li mandi a casa”. Fanno le cose che hanno detto, rispettano i patti insomma. “L’Italia ha cancellato la parola politica che è una parola bella, piena di significati” ha detto ancora Renzi, chiosando poi duramente sui “tecnici” che farebbero sbagliare tutti i conti.

Della forza della parola il premier continua a parlare quando, discutendo del Meridione, dice: “In questi anni, del Sud si è fatto un racconto macchiettistico. Un set di una fiction andata male, un luogo di negatività e disperazione. L’Italia ha una gigantesca questione educativa e culturale davanti a sé. Se l’Italia insiste nel suo racconto di negatività, non è l’Italia a perdere qualcosa, ma il mondo”. Vero è che spesso se ne parla solo male forzando fin troppo le tinte nel fosco (noi campani lo sappiamo bene, inflitti più volte da ferite mortali mediatiche); eppure, anche questo antidoto non ci convince perché mette a tacere delle tristi verità come quella, ad esempio, venuta fuori dal recente rapporto Svimez sullo sviluppo del Meridione che sarebbe inferiore a quello della Grecia.

Sarà che, forse, il binomio parola-azione in politica non andrebbe mai slegato, né a favore dell’una, né a favore dell’altra.

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