Economia e Welfare

Salute e malattia mentale. Socialmente pericoloso chi?

Con la chiusura dei manicomi criminali non cambia di certo la legge che li sostiene, cambia l’involucro, forse più accogliente, ma all’interno rimarranno sempre rinchiuse persone giudicate incapaci d’intendere e volere. Per troppo tempo gli Opg sono stati un territorio dimenticato in cui ogni dignità e diritto sono stati annullati, ma la legge che li regola è sempre quella del 1904 regolamentata nel 1930 dal Codice Rocco.

Affrontare le problematiche psichiatriche partendo dal superamento delle sole strutture è fuorviante e non risolve il quesito alla base: è il soggetto che si estranea dalla realtà sociale o, o anche verrebbe da dire, c’è un mondo fuori che andrebbe messo in discussione per l’incapacità di inserire quelli che sono o sembrano disadattati? E perché mai lo sono?

Nel frattempo, cominciamo a cercare di capire che cos’è la salute mentale e come sia necessaria la prevenzione.

Immaginiamoci cosa significhi per un genitore che ha un figlio la cui patologia insorge a 18-20 anni e dura tutta una vita, famiglie presso le quali non si dorme più in quanto lo scompenso del paziente provoca agitazione che può tradursi in aggressioni fisiche e angosce per il rischio che possa suicidarsi.  Questo tutti i giorni e le notti, per sempre, perché spesso i pazienti non riconoscendo la malattia non accettano la cura. La malattia mentale è una malattia come tutte le altre malattie e da anni ci si batte affinché ci sia pari dignità, ma anche, in caso di crimine, un diritto alla pena da scontare in un contesto adeguato.

Di fatto, la maggior parte dei pazienti, è in OPG spesso perché i familiari stanchi hanno come unico strumento, per obbligare un loro congiunto ad una cura continuativa, il ricovero in una struttura contenitiva. I controlli sanitari non sono adeguati, perché i servizi territoriali sono oramai quasi azzerati.

Per non parlare della nuova utenza, pazienti sempre più giovani che usano sostanze stupefacenti e per i quali è difficile stabilire se la patologia è nata prima dell’abuso o è nata dopo.

Problemi di salute mentale possono influenzare sentimenti, pensieri e azioni, e causare difficoltà nelle attività quotidiane, sia a scuola, che al lavoro o nelle relazioni. Sentirsi giù, tesi, arrabbiati o ansiosi sono  emozioni normali, ma quando questi sentimenti persistono per lunghi periodi di tempo, o se cominciano ad interferire con la vita quotidiana, possono diventare problemi di salute mentale.

Persone e luoghi che possono aiutare a comprendere quello che sta accadendo, come psicologi, possono essere di grande aiuto. La richiesta d’aiuto precoce fa sì che sia possibile beneficiare di un trattamento il più presto possibile, prima che i sintomi della malattia diventino invalidanti. Il trattamento precoce si concentra sulla cura della persona nella sua interezza e non solo nella cura dei sintomi. Questo potrebbe includere il supporto in aree come lo studio o il lavoro.

La malattia mentale viene invece comunemente definita come uno stato di sofferenza psichica prolungato nel tempo, che incide sul vivere quotidiano dell’individuo, causando molti altri problemi sul piano affettivo, socio-relazionale e lavorativo. Il malato è colui che assume comportamenti o atteggiamenti diversi dalla maggioranza; tuttavia, quante le persone geniali o eccentriche che manifestano comportamenti diversi dalla norma?

Il malato è colui che non è adeguatamente integrato nella società; tuttavia, se è certamente vero che spesso chi soffre di un disturbo mentale può fare più fatica ad integrarsi, non tutti coloro che rifiutano il sistema sociale o esprimono una qualche devianza possono essere definiti “malati”…

Il malato è colui che viene definito tale da una figura professionale competente in materia; è noto, però, che non sempre le diagnosi degli specialisti concordano; inoltre, civiltà differenti delineano in modo difforme il confine tra salute e malattia. Una persona viene definita “malata” se presenta alcuni sintomi, indicati in un manuale diagnostico come specifici di una determinata patologia; è chiaro, però, che si ripropone un nuovo problema: secondo quali criteri è stato composto il manuale di riferimento?

Possiamo quindi concludere che: 1) non esiste un criterio univoco e definitivo che consenta di distinguere la salute dalla malattia 2) tra le due, infatti, non c’è una netta differenza, ma una sostanziale continuità.

Uno dei problemi più gravi delle malattie mentali è che ad esse è spesso associato uno “stigma”, in pratica un marchio sociale umiliante, che isola ed emargina il malato.  Non è per nulla semplice dichiarare di avere un disturbo mentale, proprio perché si teme la reazione di paura e di rifiuto che comunemente si genera negli altri. Sconfiggere lo stigma è quindi uno degli obiettivi che oggi si pongono i servizi psichiatrici, proprio perché lo stigma è responsabile di gran parte del disagio sociale del malato.

È necessario operare a vari livelli: con le istituzioni preposte sul territorio, con le associazioni che si occupano di Salute Mentale, con realtà che possano favorire l’integrazione tra patologia e “normalità”, occupandosi del problema con volontari formati e operatori (psichiatri, psicologi, psicoterapeuti, educatori ecc) al fine di uscire allo scoperto e integrarsi nel territorio infrangendo la barriera dello stigma.

È necessario continuare ad occuparsi di Salute Mentale con la prerogativa di migliorare la qualità della vita di chi soffre e dei familiari, che sono costantemente a contatto e che quotidianamente condividono le problematiche connesse allo stigma.

Ciò che è grave è che viviamo in un mondo sempre più folle. I manicomi, le prigioni e le sette riempiono il mondo e noi non ci rendiamo conto del modo in cui partecipiamo a questa follia. Non è grave essere folli o malati, ciò che è grave è di fare tutto per rimanerci.

Per l’OMS, “La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non consiste solamente in un’assenza di malattia o infermità.”. Che cos’è il benessere fisico? E’ avere un corpo sano e armonioso vivendo secondo le leggi della natura e mettendosi in movimento con fluidità e flessibilità.

Che cos’è il benessere sociale? È avere un lavoro, essere rispettato dai superiori, apprezzato dai colleghi. È avere un alloggio decente e adatto ai propri bisogni. È vivere in un gruppo che rispetti l’individuo, gli apporti un’educazione sufficiente, non lo renda vittima di bullismo circa il sesso, il colore della pelle o l’appartenenza religiosa. Quando non siamo in equilibrio fisico, mentale e sociale, il nostro corpo ci invia segnali di allarme sotto forma di un DISAGIO o di un MAL-ESSERE (cioè l’assenza del ben-essere).

Per Stop Opg (una rete di associazioni) le Rems che sostituiranno gli opg, rischiano di diventare dei mini-Opg regionali avendo la stessa struttura manicomiale, mentre toccherebbe stanziare fondi subito per potenziare i servizi di salute mentale e ciò varrebbe non solo per gli internati ma per tutti i cittadini.

Permangono con queste nuove misure le contenzioni svilenti per l’individuo e i trattamenti farmacologici troppo debilitanti e depersonalizzanti per il paziente. Vi è un rapporto numerico troppo basso tra internati e psichiatri: non ci può essere alcuna cura in queste condizioni. Inoltre il trattamento farmacologico ha prevalentemente una funzione di contenimento.

Abolire realmente gli OPG riproponendo gli stessi criteri e gli stessi modelli di custodia quando invece bisognerebbe mettere mano ad una riforma degli articoli del codice penale e di procedura penale che si riferiscono ai concetti di pericolosità sociale del “folle reo”, laddove di incapacità e laddove di non imputabilità, che determinano il percorso di invio nelle strutture. Le nuove disposizioni consegnano agli psichiatri la responsabilità della custodia ricostituendo in queste strutture tutte le caratteristiche dei vecchi manicomi.

Il manicomio non è solo una questione di dove si fa, se c’è l’idea della persona come soggetto pericoloso che va isolata, dovunque la sistemi sarà sempre un manicomio. Certo forse ci sarà un maggiore contatto dell’individuo con la società, ma l’isolamento rimane all’interno dell’individuo attraverso trattamenti psicofarmacologici debilitanti che conducono a fenomeni di cronicizzazione.

I folli rei sono coloro che hanno compiuto un reato in stato di incapacità di intendere e di volere per infermità mentale, sono stati prosciolti ma internati perché ritenuti socialmente pericolosi.

I rei folli, invece, sono coloro che hanno compiuto un reato, sono stati condannati ad una pena detentiva e, successivamente, in carcere sono stati riconosciuti socialmente pericolosi per infermità mentale.

Nella proposta di superamento degli OPG, le REMS accoglieranno i folli rei condannati alla misura di sicurezza; mentre i rei folli rimarranno all’interno delle carceri, trasformate in novelli OPG.

I percorsi rieducativi si confondono con quelli terapeutici e gli psicofarmaci si diffondono massicciamente anche in carcere.

L’industria farmacologica sforna prodotti capaci, in alcuni casi, di sostituire le camicie di forza, i letti di contenzione e le sbarre, ma una persona che viene giudicata socialmente pericolosa, in altre parole che potrebbe reiterare la stessa condotta in futuro, subisce sempre lo stato di internamento. In effetti, si priva della libertà un individuo per quello che si valuta esso sia e non per quello che effettivamente farà, se lo farà.

Le Rems affidate ai privati sociali nascondono in sè l’insidia di un trattamento estremamente prolungato per non perdere i fondi che la legge prevede per questo tipo d’assistenza. Questa (probabilissima…) perenne assistenza psichiatrica territoriale potrebbe configurarsi come un vero e proprio ergastolo bianco.

Rimane assolutamente invariato il discorso sull’UOMO E LA MALATTIA, sulla malattia nella società, sull’uomo nella società.

Sergio Moccia, docente di Diritto penale dell’università Federico II di Napoli, afferma che “è necessario cambiare il codice penale, ma purtroppo non c’è alcuna volontà politica di farlo realmente, mentre il ricorso alle strutture detentive sta diventando sempre più frequente, anche per semplici casi di disagio mentale. Finché non cambierà finalmente la legge sull’imputabilità del “folle reo” e sulla “pericolosità sociale”, senza una vera presa in carico dei Dipartimenti di Salute Mentale per offrire percorsi individuali di assistenza, gli internati saranno inevitabilmente trasferiti nelle nuove strutture manicomiali (ora perfino private), dove la magistratura continuerà a disporre l’esecuzione della misura di sicurezza”.

Alla fine, cambiare nome e cambiare strutture, così com’è, non cambierà nulla, finché sarà vigente il principio che li tiene in vita: la “pericolosità sociale”.  Quanto pericolosa è invece la società che nega diritti e produce disagio, disperazione e “reati”?

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