Cultura

Sciantose e café chantant al Salone Margherita

antica-locandina-del-salone-margheritaIl Café Chantant nacque a Parigi: il primo cabaret europeo fu lo Chat Noir, creato nel 1881 dal pittore Rodolphe Salis nel quartiere bohemien di Montmartre. Parigi divenne il centro europeo della belle-époque, ma i locali adibiti a Caffè Concerto si diffusero anche in altre nazioni.

Il Caffè si trasformò da bar a luogo di spettacolo nella seconda metà del XIX secolo e, a Parigi, il Café Chantant raggiunse il suo massimo splendore in locali quali Le Moulin Rouge, Le Chat Noir e Les Folies Bergères. Vi cantavano Dive come la cantante Thérésa che accompagnava canzoni comiche con una gestualità fuori delle righe. Negli anni ottanta del XIX secolo il café-concert è allestito all’interno di grandi sale sempre più raffinate perfino durante la stagione estiva e, le rappresentazioni, si trasformano in veri a propri spettacoli di varietà, nel corso dei quali era anche possibile assistere ai primi spettacoli di varietà con scene “discinte”.

A Napoli, dall’inizio secolo, era usanza recarsi al cafè chantant, commistione d’intrattenimento con degustazioni, durante le quali si potevano ammirare le performance delle “sciantose” (prima, su tutte, resterà Maria Sarti alias Ninì Tirabusciò, casuale inventrice della famosa “mossa”) e dei fantasisti (ai quali si aggiunse, al debutto, un giovanissimo Totò).

Napoli tuttavia vanta una sua autonoma invenzione del caffè concerto e di un numero che darà a sua volta origine ad un particolare genere di spettacolo: lo spogliarello. Fu così che nel 1875 Luigi Stellato in collaborazione col musicista Francesco Melber, nella rielaborazione di un motivo popolare creò “A cammesella”, divertente duetto tra sposini, con il marito che tende ad eliminare ad uno ad uno i numerosi schermi dietro i quali la moda del tempo nascondeva le grazie della sposa e, quest’ultima, che, di volta in volta, si schermisce e cede.

Primo e massimo cafè-chantant italiano fu il Salone Margherita.

Nacque su idea dei fratelli Marino di Napoli, che decisero di importare il modello dei Cafè-chantant francesi in Italia. Fu inaugurato il 15 novembre 1890 nella galleria Umberto I alla presenza della créme cittadina: principesse, contesse, uomini politici e giornalisti come Matilde Serao. Simbolo della Belle Époque italiana, ricalcò totalmente il modello transalpino, persino nella lingua utilizzata: i camerieri in livrea e gli spettatori parlavano in francese, i cartelloni, menù e contratti degli artisti scritti nel medesimo idioma. Gli artisti, poi, fintamente d’oltralpe, ricalcavano i nomi d’arte in onore ai divi e alle vedettes parigine. Importanti e famosi artisti che esordirono o frequentarono le assi del Salone furono Anna Fougez, Lina Cavalieri, Lydia Johnson, Leopoldo Fregoli, Ettore Petrolini, Raffaele Viviani. Tra le star internazionali non mancarono la Bella Otero e Cléo de Merode.

Eccone citate alcune da Pietro Gargano, autore di “Napoli al tempo delle sciantose”:

“Vedette straniere, parigine autentiche e “stelle” indigene col nome esotico. Le Folies Bergére mandarono a Napoli una parigina autentica, Armand’Ary. Quando intonò il motivo di Mario Costa, “Songo frangesa e vengo da Parigi”, fu il delirio. Le dedicarono una canzone e un profumo. La sua parabola calò allo spuntare di Blanche Lescaut, all’anagrafe Emma Sorel, italianissima. Le altre… Ester Bijou si chiamava Giovanna Santagata, veniva da Capua. Ninì Bijou era Anna Baldi, napoletana come Anita Chevry (al secolo Pescrilli) e Carmen Marini. Da Salerno veniva Ester Clary (Palumbo). Gina Chamery era nata a Milano con il nome di Luigia Pizzoni Negri; fu adottata da Napoli. Verace vesuviana, invece, Olimpia d’Avigny.  Vienna De Ruà era toscana”.

 

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