Cultura

“Se muore il Sud”: perché il Sud non affondi

Articolo comparso sull’ultimo numero di Link, marzo 2014

Ho cominciato a leggere i primi capitoli dell’ultimo volume di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, “Se muore il Sud”, poi ho interrotto, quindi ho ripreso dai capitoli finali riguardanti la Campania: La cancerogena Campania, Farfalle a Bagnoli, Voglia di volare, Ultraleggeri e Boing: il Sud che va. A dimostrazione che si tratta di un unico documentato discorso, o meglio inchiesta, con un impressionante accumulo di dati e percentuali, con un piglio narrativo immediato, per allertale che il Mezzogiorno va alla deriva. Di qui l’incipit preoccupato “Fate presto. Il Sud affonda”, perché di fronte all’abbandono del Mezzogiorno al suo destino ed alla rassegnazione per l’impossibilità di strapparlo alle mafie, alle clientele, alla malapolitica, i due autori provocano vari soggetti senza fare sconti a nessuno “Perché il Mezzogiorno sta andando al disastro. E non serve a niente, giorno dopo giorno voltarsi dall’altra parte. Vale per la destra, vale per la sinistra. (…) Vale per i politici ed i professionisti ed i rettori universitari settentrionali, che per decenni non si sono fatti scrupolo, per vincere a Roma, di stringere  alleanze inconfessabili con il peggio del peggio del ceto dirigente meridionale. Vale per gli imprenditori, che nelle terre bagnate dalle generose provvidenze della Cassa per il Mezzogiorno hanno visto mille volte solo l’occasione di un saccheggio. Ma vale soprattutto per i meridionali, perché in troppo sospirano sui torti subiti “dai tempi più antichi” e sembrano ormai aver accantonato ogni volontà di riscatto. Ogni speranza di rinascita culturale, economica e civile”(pp. 7-8).

Per la disanima della deriva del Sud, parlano un serie impressionante di numeri (dati e percentuali): decine di migliaia di falsi braccianti (il 99,1% di tutta Italia), centinaia di milioni di euro dissipati in finti corsi di formazione innumerevoli lavori pubblici fatti solo per far lavorare le imprese (amiche) con la scusa di creare occupazione, enormi spese nella sanità con risultati miseri, crescente divaricazione fra alti stipendi e pauperizzazione dello stesso ceto medi non solo per la recente crisi economica del Paese, spreco ed inefficienza dei servizi pubblici dalla mobilità alla raccolta dei rifiuti, il cancro delle varie mafie o meglio delle organizzazione criminali che hanno esteso la loro presenza ed influenza anche a regioni centro-settentrionali,  gruppi della criminalità organizzata ed imprese che prosperano su appalti pubblici. Non in ultimo, “Fondi europei: sperpero immenso e risultati zero” come titolo un capitolo del libro. La prima considerazione su questo lavoro riguarda il genere di narrazione del libro, o come si dice in altre sedi, il genere letterario, che è quella  dell’inchiesta giornalistica (che non è una brutta parola) documentata per richiamare l’attenzione sull’abbandono della “questione meridionale” nel pubblico dibattito e produrre un risveglio politico e civile a partire allo stesso Mezzogiorno. A questo proposito bisogna segnalare l’uso imponente di dati numerici e statistici che sostanziano i vari capitoli del volume, che vanno discussi ed interpretati accuratamente in riferimento alle loro fonti e temporalità. Inoltre, ci sembra che si incrocino dati aggiornati sulle varie situazioni critiche delle regioni meridionali e la persistenza del divario economico e sociale nei confronti delle altre regioni del Paese, tema quest’ultimo che appartiene all’analisi economica e alla storia economica quando si tratta di arretratezza del Mezzogiorno. Cioè alla creazione e distribuzione della ricchezza delle nazioni, per dirla con Adam Smith, ed uscire da una anomalia italiana. In secondo luogo, nella ricerca delle spiegazioni di questa  arretratezza in conformità con le analisi degli studiosi del meridionalismo classico, viene additato il “patto empio che alimenta un ceto dirigente di mestieranti incapaci, spregiudicati, insaziabili.

Quando non collusi con la criminalità organizzata”. O più generalmente con disappunto una classe dirigente che lascia affondare un pezzo dell’Italia. In un recentissimo volume Emanuele Felice prova a fornire una spiegazione sul “Perché il Mezzogiorno è rimasto indietro”, e accusa le classi dirigenti o meglio dominanti.

“Imputa loro cioè di aver deliberatamente ritardato lo sviluppo economico e sociale del Sud Italia, a vantaggio dei propri interessi. Detto altrimenti, chi ha soffocato il Mezzogiorno sono state le sue stesse classi dirigenti che ne  hanno orientato le risorse verso la rendita più che verso gli impieghi produttivi, mantenendo la gran parte della popolazione nell’ignoranza ed in condizioni che favorivano i comportamenti opportunisti” (cit. in Repubblica Napoli, 9 gennaio 2014, p. IX). La passione civile ed unitaria degli Autori appare dalla dedica del volume “Ai nostri genitori, quelli terroni e quelli polentoni, che si sono sempre sentiti semplicemente italiani”.

Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, Se muore il Sud, Feltrinelli, Milano 20013, pp. 315. 

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