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Strage di Parigi, che cosa è meglio non dire

A distanza di oltre 48 ore si continua ancora inevitabilmente a parlare degli attentati di Parigi, e non c’è dubbio che se ne parlerà ancora a lungo. In realtà fa male anche solo parlarne, almeno in queste primissime ore in cui sembra che l’unica cosa sensata da fare sia esprimere il proprio dolore. Fatto sta che, invece, non era nemmeno passato un minuto che già si vedevano in campo politici di tutte le forme e sembianze, accanto ai giornalisti e agli esperti di ogni tipo, ed è ragionevole pensare che ben presto la parole verrà ceduta anche a personaggi televisivi, semplici opinionisti, praticamente chiunque.
C’è qualcosa di stonato nelle parole di chi tenta di spostare il discorso su un piano prettamente politico e di dire a tutti costi il suo parere sul post-attentato, e su quello che i governi dell’Occidente dovrebbero far adesso, ma la verità è che è essenziale avere un’opinione, ed è fondamentale fare politica anche e soprattutto in questo momento. Forse non subito, non nelle prime 24 ore in cui non si può sovrapporre la propria voce alla violenza delle immagini che parlano da sole, ma immediatamente dopo, sì: perché un attacco terroristico che riguarda non solo Parigi, ma l’intera Europa e anche oltre, è una questione politica che va risolta con gli strumenti della politica, ed è quanto mai impellente l’urgenza di fare qualcosa adesso, prima che si possa parlare di un altro Charlie Hebdo o di un nuovo Bataclan.
Non solo i tempi, però, vanno rispettati, perché c’è anche una legge morale che dovrebbe impedire a ciascuno di noi di strumentalizzare vicende come questa per dire che noi l’avevamo previsto, che avevamo ragione su tutta la linea, come se si trattasse ancora una volta di una lotta tra partiti. Per esempio Beppe Grillo, uno che in passato ci è andato giù pesante con la questione degli immigrati e delle frontiere, ha pubblicato sulle pagine del suo blog soltanto una breve nota, con cui il Movimento 5 Stelle esprime solidarietà al popolo francese e alle famiglie delle vittime. Ha seguito tutt’altro esempio, invece, Matteo Salvini, scatenatissimo sui social, come scatenati sono stati anche molti utenti nei suoi confronti. C’è chi ha notato, infatti, che addossare la responsabilità dell’accaduto all’intero musulmano equivale un po’ a fare, come si suol dire, di tutta l’erba un fascio, e che cogliere la palla al balzo per puntare ancora una volta il dito contro Renzi è l’alternativa meno appropriata a una semplice frase di cordoglio. Anche il suggerimento di bloccare le frontiere e impedire ulteriori sbarchi pare una scelta a dir poco estremista, come se non si potesse procedere con controlli e indagini prima di buttarli tutti fuori, come se migliaia di migranti imploranti aiuto dovessero pagare per una manciata di criminali. Come se i profughi che scappano dalla violenza dell’Isis fossero responsabili della violenza dell’Isis. Non va meglio sul profilo del parlamentare Gianluca Pini, che se la prende pure con l’islam moderato, né tantomeno su quelli di Maurizio Gasparri e Daniela Santanché, che dimenticano che l’islam ha tante facce, come ne ha tante pure il cristianesimo. I preti pedofili, per esempio, non sono certo la stessa cosa, ma neanche ci sogneremmo di espellere i nostri preti perché qualche mela marcia ha rovinato per sempre la vita di alcuni bambini. E che dire di padre Athanase Seromba? E che dire di Agostino Coppola, il prete colluso con la mafia? Abbiamo chiuso le nostre chiese dopo questi fatti?
Su una cosa Salvini, Gasparri, Santanché e altri ancora hanno ragione: questo è il momento di agire, non di indugiare. Possiamo prenderci tutto il tempo che vogliamo per piangere i nostri morti, ma poi si dovrà pur fare qualcosa perché non ce ne siano degli altri. Agire, però, non significa non riflettere; le due cose, anzi, vanno di pari passo. Bisogna anche riflettere prima di scrivere un post su un social network. Non si tratta di non fare politica, ma di non approfittarne per fare propaganda. Si tratta di umanità, la cosa di cui abbiamo più bisogno per affrontare odio e intolleranza; di questi ultimi ne abbiamo già visti troppi.

 

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