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TUTELA DELLE RISORSE NATURALI E SVILUPPO ECONOMICO. IL CASO DEL CILENTO

Viaggiare tra monti immacolati e verdi colline, che in primavera e in autunno si colorano come un mosaico di naturale bellezza, mi fa sorgere ogni volta una domanda, sempre la stessa, nella sua apparente banalità: ma il ritardo di sviluppo, la scarsa attenzione di chi avrebbe dovuto fare investimenti in un’area marginale, non hanno in fin dei conti salvato il Cilento dai mali dell’antropizzazione e della conurbazione metropolitana ?

Anche quando mi capita a soffermarmi a parlare con la gente locale, cordiale e calorosa nella sua semplicità, mi chiedo la stessa cosa. Soprattutto con gli anziani, gli ormai famosi “centenari”, di una simpatia unica, arricchita da un’ironia immediata e diretta e da un intercalare fatto di mille proverbi; i proverbi della vita, della terra, delle stagioni, della vera sapienza. Sono sempre lì, al loro posto, immutabili abitanti di borghi antichi.

E da questi semplici elementi, una terra difficile e poco generosa e un popolo autentico e schietto, non poteva che nascere anche una cucina arcaica, sana, povera negli ingredienti, ma ricca nei sapori perché asciutta, valorizzata dalla sapienza e dall’abilità delle donne locali. Una cucina contadina che ha stregato anche uomini di scienza, vissuti fino ad allora agli antipodi, come Ancel Keys, che ne capì il valore autentico, indicatore di una cultura e di uno stile di vita ormai perduto nella civiltà dello sviluppo, ma rimasto integro proprio perché appannaggio di una comunità tagliata fuori dal “ritmo frenetico della vita moderna”.

Così, mentre nelle aree ricche, metropolitane, urbanizzate, si discute di come affrontare una politica ambientale per salvare il verde sopravvissuto, attraverso gli orti urbani o sociali, i giardini pensili o verticali, nelle immense aree verdi del Cilento la mancata crescita, la carenza di infrastrutture, la desertificazione antropica inarrestabile, l’abbandono dei borghi più impervi, diventano elementi che hanno consentito di salvaguardare la natura, di tutelare la ricca biodiversità vegetale e animale.

Un ossimoro quasi beffardo: fattori di negatività per la crescita e lo sviluppo diventano incredibili componenti di tutela dell’esistente. Una comunità che sceglie consapevolmente, o forse perché costretta, una vita slow, il ritmo lento del buon vivere. L’accoglienza, modesta ma civile e ospitale, la mancanza di centri commerciali, i collegamenti, incerti, elementi avversi ma accettati dai turisti testardi e pazienti, soprattutto consapevoli.

Un sistema di valori che premia qualità piuttosto che quantità, certamente non voluto né perseguito da molti abitanti di quaggiù o almeno da quelli che vanno via in cerca di “miglior sorte”, che però fa riflettere. Prodotti alimentari unici che non potresti trovare altrove, provenienti spesso da piante spontanee, macchie e cornici vegetali spettacolari nei colori e nei profumi, paesaggi incantevoli sconosciuti ai più, rimasti tal quale proprio perché non vi è stata un’edilizia aggressiva o l’insediamento di una infrastrutturazione indiscriminata senza regole e pianificazione.

Ma quale futuro attende il Cilento ? E’ pensabile poter mantenere questo fermoimmagine della storia evolutiva ?  Cosa fare per preservare questo immenso patrimonio naturalistico e nello stesso tempo dare una speranza di crescita alle nuove generazioni favorendo quindi uno sviluppo sostenibile ?

Non c’è bisogno di scomodare le teorie di Latouche o del Grillopensiero sulla decrescita felice. Esempi virtuosi in Italia di zone che sono riuscite ad esaltare le proprie risorse naturali senza interventi invasivi che potessero alterare l’esistente e senza troppi oneri per gli abitanti locali ve ne sono e sono tanti. Quasi nessuno al sud e nelle isole, è vero.

Occorre, per il Cilento, ma anche per altri territori simili di cui è ricco il Mezzogiorno, impostare il discorso in modo diverso da come fatto in passato, quando si sprecavano risorse in opere pubbliche inutili e sovradimensionate, perché si diceva “lo sviluppo passa attraverso i grandi investimenti industriali”. Ecomostri e cattedrali nel deserto che stanno ancora lì, abbandonati, a testimonianza di un’archeologia industriale che si spera non ritorni più.

Innanzitutto, si deve partire dall’obiettivo di pervenire ad una condizione di stabilità ecologica ed economica, un equilibrio armonico tra gli insediamenti già esistenti, rurali e non, e l’area verde, sia quella coltivabile che quella di tutela integrale.

Sull’edilizia esistente occorre agire secondo canoni di recupero e restauro intelligente, partendo dalla rifunzionalizzazione dei casali attraverso interventi di abbellimento esterno degli antichi manufatti rendendoli, allo stesso tempo, internamente funzionali e moderni, sia che da indirizzare al commercio, al turismo o all’agricoltura. Un vasto programma di architettura rurale concepita con i più avanzati sistemi di sostenibilità: antisismicità, autosufficienza energetica, utilizzazione di materiali naturali (es. canapa, paglia, lana, terra cruda, ecc.) e tinture ottenute da scarti vegetali, puntando anche a migliorare il contesto paesaggistico attraverso il miglioramento delle aie e il ripristino delle cornici vegetali dei borghi e degli immobili isolati. Creando in questo modo anche opportunità creative e lavorative ai giovani professionisti locali, opportunamente formati e aggiornati sulle nuove tendenze dell’eco e bioedilizia.

Anche sulle aree a verde occorre un ripensamento globale delle politiche di sviluppo rurale e territoriale. Trattandosi di un’area protetta di alto valore naturalistico, gli interventi da porre in essere devono essere soprattutto quelli orientati a consolidare ed esaltare il ruolo delle imprese agricole (agroalimentari e agroforestali) locali. Adozione di tecniche di gestione agronomica e di manutenzione del territorio a basso input energetico e realizzazione di impianti agricoli a bassa intensività colturale, puntando ad esaltare le filiere e le specie animali e vegetali autoctone, le loro proprietà nutraceutiche e salutistiche. Un coacervo di eco innovazioni già disponibili che vanno innestate attraverso un impegnativo e diffuso intervento di trasferimento di conoscenze e di consulenza aziendale. Altra opportunità per i giovani tecnici agricoli.

Ma la vera innovazione deve essere quella di favorire e sostenere l’implementazione di aziende agricole multifunzionali, le uniche che consentono di ottenere oggi quell’equilibrio tra salvaguardia dell’esistente e crescita economica. Giovani imprenditori che puntino, non all’intensificazione dei processi produttivi o a consumare suolo sottraendolo a funzioni naturali essenziali in un territorio ad elevata sensibilità idrogeologica, ma a trarre reddito dalla connessione intelligente tra la produzione della terra e l’offerta di servizi strategici, come la vendita diretta, l’ospitalità turistica, la trasformazione aziendale, la didattica e il sociale, fino al ruolo di “custodi del territorio” che le istituzioni dovrebbero loro riconoscere e gratificare adeguatamente.

Puntare sulla qualità delle imprese, quindi, piuttosto che sulla loro quantità. Imprese multifunzionali tra loro connesse, per formare reti virtuali e materiali che possano generare sinergie positive nell’offerta dei prodotti ma anche dei servizi. Il che si traduce in complementarietà e cooperazione nell’affrontare tematiche complesse come l’e-commerce o come la ricettività agrituristica attraverso i tour operator internazionali, per l’organizzazione di itinerari enogastronomici e di attività ricreative legate ad esempio agli sport “natura e avventura”.

Tanti ancora gli esempi che è possibile fare per ottenere quell’equilibrio armonico cui si accennava. Lo hanno fatto nell’arco alpino, in Toscana, in tante altre realtà dove la natura regna sovrana, ma dove è possibile concepire anche una crescita sostenibile senza grandi investimenti materiali. Già, gli investimenti. Senza di essi ciascuna proposta è inutile. Ma che siano oculati, essenziali, intelligenti. Dà più risorse alla popolazione locale la copertura in banda larga di un territorio rurale che la costruzione di un mega centro commerciale dall’improbabile futuro.

Italo Santangelo

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