ultimissime

Un Gesuita ci racconta la sua Scampia,le sue porte e i suoi poli.

Posso dire, con gratitudine, che la mia esperienza a Scampia è stata molto buona da diversi punti di vista, a partire dall’accoglienza nella nostra comunità gesuita e nella comunità delle persone che, in modi diversi, ci sono vicine, e di cui i vari padri nel tempo si sono presi cura.
In tutto questo però sono stato colpito da una caratteristica che non mi è piaciuta, e ha a che fare con la configurazione urbanistica del quartiere.
Prendo le mosse dall’ingresso della stazione della metropolitana Piscinola-Scampia: porta per entrare e uscire dal quartiere, attraversato ogni giorno da centinaia di uomini e donne e ragazzi e ragazze. Entrano ed escono. Mi chiedo: cercano? Trovano? Di fatto è un varco brutto, scuro, con tinte fosche. Se ce lo lasciamo alle spalle e proseguiamo idealmente in avanti, in linea d’aria, alla fine del quartiere troviamo un altro luogo-simbolo, pure questo brutto: il carcere di Secondigliano. Entrano. Escono. Tornano… Ecco i primi due poli.
Se rispetto ad essi guardiamo la linea perpendicolare, le cose non migliorano: da un lato infatti, al di sotto della rampa – inagibile perché irregolare – dell’Asse mediano, abbiamo il campo ROM e, se ce lo lasciamo alle spalle e proseguiamo in avanti, in linea d’aria troviamo una Zona militare (nei pressi del rione Don Guanella). Ecco gli altri due poli del quartiere.
Certamente non sono le uniche “porte” di Scampia. Sono però 4 estremi; punti di riferimento che simbolicamente (almeno personalmente) comunicano un’idea di ombra, chiusura… Quello che è grande, allora, è tutto quello che di buono, di luce, si trova all’interno di questo spazio. Ieri citavo, tra le altre possibili, l’esperienza del ristorante Chikù, prevalentemente femminile e capace di integrare – attraverso la cucina – i Rom. Così come l’esperienza di cittadinanza attiva del parco Corto Maltese, con l’associazione Pollici Verdi.
Avere individuato questi 4 poli è stato un modo importante per spostare l’attenzione dalle Vele che, seppur maggiormente note, non sono l’unico simbolo urbanistico di riferimento del luogo. Penso che sia possibile “superare” le Vele, “disinnescare” il ruolo simbolico che hanno nell’immaginario comune, non solo pensando al loro abbattimento (processo peraltro già in corso), ma iniziando proprio da questo: riconoscere che non occupano tutta la scena, sono AL centro del rione, ma non sono IL centro del rione; che anche altri luoghi hanno bisogno che sia rivolta loro attenzione – fosse solo per evitare quel fenomeno di luce e ombra, per cui il male solo si sposta, cercando altre zone d’ombra in cui nascondersi.
Angelo Stella,gesuita

Potrebbe piacerti...