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VERDUCCI(PD):”LE RAGIONI DEL SI AL REFERENDUM SONO MOLTO FORTI E SOLIDE.”

La riforma costituzionale risponde innanzitutto alle aspettative di grande parte dei cittadini, che chiedono istituzioni finalmente capaci di ripensarsi, rimettersi in gioco, non chiudersi né sclerotizzarsi.

Viviamo da troppo tempo una crisi durissima, che ha scavato divisioni e diseguaglianze sempre più profonde, che ha esacerbato paure e risentimenti, che ha inceppato la nostra democrazia, colpendo fasce sociali che sono il cuore della nostra società, togliendo protagonismo e opportunità, relegando ai margini energie vitali. Nostro compito è quello di metterle nelle condizioni di rialzarsi, di riuscire a farlo fare a chi oggi è escluso.

Quando un ragazzo rinuncia a studiare è molto difficile che trovi la forza di ricominciare; quando chiude la saracinesca di una fabbrica, è molto difficile che possa riaprire. C’è un nesso strettissimo tra la crisi istituzionale e quella sociale: se non vogliamo che rabbia e frustrazione travolgano le istituzioni, dobbiamo cambiare radicalmente e con coraggio, dando non solo voce, ma possibilità di incidere a chi oggi non ne ha.

Per far questo, serve una politica forte, autonoma, efficace e capace di decidere, perché la politica, se è debole, è travolta dalla forza della finanza e dell’economia; se decide di restare debole, com’è stato in questi anni, tradisce se stessa, il suo mandato, la fiducia che ci è stata data, che è il bene più prezioso che abbiamo. Infatti, istituzioni inefficienti non sono in grado di sanare i nostri mali, le fratture sociali, quelle territoriali, le disuguaglianze che bloccano il Paese. Istituzioni inefficienti non sono in grado di contrastare il malaffare, l’invadenza delle mafie; possono solo giustificare gli egoismi, l’antipolitica, chi sullo sfascio lucra.

Il Partito Democratico è nato per unire le culture riformiste: il passaggio della riforma e del referendum è per noi una prova decisiva. Una prova di maturità e credibilità, con la quale dimostrare di saper dare risposte urgenti, recuperando in poco tempo il troppo tempo che è stato perduto.

Siamo in grado di fare le riforme? Siamo in grado di cambiare il Paese? Oppure ancora una volta ci fermeremo? Ancora una volta rinunceremo, saremo nemici di noi stessi e dell’Italia?

Ecco, per noi democratici questa riforma significa far vivere un progetto di cambiamento che non nasce in questi mesi, ma nasce più di vent’anni fa con l’Ulivo: un patto tra politica e cittadini per riscrivere la Carta comune della Repubblica in cui riconoscersi. Questa è una riforma che vuole mettere in sicurezza e dare nuova linfa ad un parlamentarismo che oggi è molto spesso ostaggio delle sue degenerazioni, inconcludenze, paralisi, lungaggini, che vengono aggirate ricorrendo a fiducie, a maxiemendamenti, a decretazioni di urgenza, a leggi delega, troppe volte finendo non con il risolvere ma con l’aggravare la crisi.

Il parlamentarismo, non solo i partiti, è oggi sotto attacco da parte dei qualunquismi populisti e dei  nazionalismi; un pericolo che pensavamo sconfitto per sempre, e che invece oggi riemerge. Fu così anche negli anni Trenta del secolo scorso, e sappiamo come andò a finire: le democrazie liberali vennero travolte dagli autoritarismi perché deboli, perché incapaci di fronteggiare la crisi. Per questo mi colpisce che nel dibattito sulle riforme di questi mesi si sia insistito molto sulla mancanza di contrappesi e di garanzie nel rapporto tra Governo e Parlamento, quando invece sappiamo che non è così.

Il problema più grande che abbiamo, l’anello debole del nostro pluralismo istituzionale è oggi la mancata stabilità del Governo: questa è la garanzia che manca e che serve alla nostra democrazia. Le riforme che stiamo facendo ancorano il nostro sistema a un Governo parlamentare che viene rafforzato. Questo punto è stato rimarcato in maniera molto forte, in un bellissimo discorso in Commissione affari istituzionali del Senato, dal Presidente Giorgio Napolitano; un discorso in cui hanno riecheggiato le parole recenti di Leopoldo Elia e quelle che risalgono alla Costituente di Piero Calamandrei. Questa riforma mantiene il Governo parlamentare e lo rafforza. Non ha mai contemplato l’introduzione del semipresidenzialismo o del premierato forte: formule che nelle bicamerali degli anni novanta il centrosinistra aveva preso seriamente in considerazione.
Per questo mi colpisce l’accusa di autoritarismo che viene mossa a queste riforme, al binomio tra nuova legge elettorale e riforma del Senato: un’accusa infondata, sia sul versante (come detto) della riforma costituzionale sia sul versante dell’Italicum (certamente migliorabile e non intangibile, come si vede dall’importante dibattito in corso) che cancella il Porcellum, ripristina i collegi, e i cui effetti maggioritari non sono superiori a quelli che poteva avere il cosiddetto ‘Mattarellum’.

Superare il bicameralismo paritario significherà avere due Camere diverse, una politica e una in rappresentanza delle istituzioni territoriali.
Il Senato non darà la fiducia al Governo, ma rappresenterà le autonomie, e per ciò stesso costutuirà una grande e importante innovazione: ridare funzione al municipalismo, e soprattutto ad un regionalismo che sta vivendo da anni una crisi molto pesante. È una trasformazione che dà compimento agli auspici del dibattito svolto in Assemblea costituente; dà risposta ai mutamenti e alle trasformazioni sociali di questi anni e alla modifica del Titolo V della Parte II della Costituzione, evitando i numerosi contenziosi tra lo Stato e le Regioni; dà risposta alla necessità delle autonomie locali di partecipare alla costruzione delle politiche comunitarie e all’elaborazione del diritto europeo.

Abbiamo voluto con forza il Referendum, perchè una riforma così importante deve avere un consenso partecipato ed ampio. Questo Governo è nato per fare le riforme e rompere un incantesimo che ogni volta le ha impedite. Questa è la sua forza. Stiamo dimostrando che questa legislatura, che sembrava perduta e nata sotto pessimi auspici, può davvero essere costituente e segnare uno spartiacque storico. Un impegno a cui noi parlamentari siamo stati richiamati nell’aprile 2013, al momento della rielezione del Presidente Napolitano, e nel gennaio 2015, all’atto dell’elezione del Presidente Mattarella.

La campagna referendaria che si avvia in questi giorni avrà un enorme valore politico. Le ragioni del Si sono molto forti e solide, dovremo fare in modo che la gran parte degli italiani possano riconoscervisi. Gli argomenti del no sono deboli e spesso strumentali, legati alla lotta partitica. Guai a noi cadere nel tranello della personalizzazione. Dovremo usare parole che uniscano, sdrammatizzare la portata ‘contingente’ del voto referendario e far risaltare la portata ‘storica’ che trae origine dalle indicazioni contenute nel dibattito alla Costituente ed arriva a ridisegnare la carta d’identità della nostra democrazia al passo con le esigenze dei tempi che viviamo. Non è un Referendum su Renzi, nè su un gruppo dirigente, nè tantomeno una puntata del Congresso del Pd; sarà un Referendum sull’Italia, sulla sua capacità di cambiare, sulla sua possibilità di fare riforme abbattendo il muro di immobilismi e conservatorismi che ha separato sempre più la società dalla politica.
Dovremo evitare un pericolo: che questo Referendum si capovolga irrazionalmente in una valvola di sfogo per la rabbia e l’insoddisfazione; e invece mettere in campo iniziative per fare in modo che venga percepito come il punto saliente di un progetto complessivo di cambiamento che ridà forza alle scelte dei cittadini e alla politica per permetterle di correggere storture insopportabili.
Dovremo fare del Si al Referendum il luogo d’incontro di percorsi partecipativi, forze associative, esperienze culturali per costruire un’alleanza sociale innovativa che dia al nostro Paese e all’Europa fondamenti e legami su cui poggiare.
A chi vuole sfasciare e ricominciare ancora una volta da zero, risponderemo con i nostri SI, per andare avanti.

Francesco Verducci
Senatore

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