Officina delle idee

Agevolazioni, formazione e orientamento al lavoro per gli studenti universitari

di Samuele Ciambriello e Franca Pietropaolo

In queste settimane molti giovani stanno compiendo una scelta importante: la scelta dell’Università, una scelta che rappresenta la costruzione del proprio futuro.

Ne abbiamo parlato con Lucio D’Alessandro, Rettore dell’Università Suor Orsola Benincasa e da qualche mese Vice Presidente della Conferenza dei Rettori delle Università italiane.

Rettore, perché un giovane oggi dovrebbe iscriversi all’Università pur sapendo che molti laureati hanno grandi difficoltà nel trovare un’occupazione? Qual è il valore reale dell’Università?

«Siamo consapevoli del fatto che il mondo in cui viviamo è assai difficile ed è per questo che molti giovani sono in difficoltà. Ma, parliamo di un mondo che diventa sempre più competitivo e la competizione riguarda soprattutto il bagaglio di saperi posseduto da ognuno di noi e dall’abilità che si ha nell’utilizzare questi saperi. Il Paese oggi è in difficoltà perché non ci sono competenze sufficienti, e chi non possiede affatto competenze è in svantaggio».

Il problema di fondo è soprattutto un problema economico. Quasi tutte le università italiane hanno adottato un piano anti-crisi. Ad esempio, il Suor Orsola Benincasa ha proposto una sola tassa di iscrizione per tutti i test d’ingresso, i premi al merito e il contratto con gli studenti al fine di evitare aumenti di tasse fino al conseguimento della laurea.

«Sì, ci sono grandi novità sotto questo aspetto. Ad esempio, pagare un contributo unico per tutti i test permette allo studente di fare la scelta giusta. Il numero chiuso ci consente di avere un rapporto numerico corretto con gli studenti, con le aule, con i docenti e con i corsisti tra di loro: in fase di formazione il contatto frontale è molto importante, non basta leggere un libro per essere uno studente eccellente. Il test d’ingresso rappresenta una prima misura affinché il giovane iscritto non si disperda e non perda tempo prezioso per un un corso che si rivela inadatto alle proprie aspettative. Poi c’è la valorizzazione degli allievi meritevoli: noi crediamo molto nella scuola italiana, per cui se lo studente consegue un voto alto al diploma, gli viene riconosciuto un bonus economico, ripetuto negli anni se la media resta alta».

L’Università Suor Orsola Benincasa è nota come Ateneo in cui la didattica si fa sul campo.

«Sì. Oggi è molto importante che lo studente oltre ad apprendere dei saperi, sappia usare anche degli strumenti e il nostro versante di azione mette insieme scienze e tecnologie».

Un fiore all’occhiello del Suo Ateneo è la Scuola di Giornalismo che Lei dirige insieme a Paolo Mieli: la prima scuola del Mezzogiorno che vanta una tradizione decennale.

«La scuola di giornalismo seleziona ogni due anni 30 studenti attraverso un concorso per poi farli lavorare stabilmente in questo arco di tempo. Naturalmente il giornalista di oggi non è più quello della “carta e penna”, un nostro giornalista è in grado di andare in un luogo, scrivere un articolo, impaginarlo, scattare foto,  girare un video e inviarlo alla redazione pronto per la pubblicazione. E’ fondamentale dare ai giovani delle abilità nuove, altrimenti la competitività viene meno».

I giovani si iscrivono all’Università al fine di trovare un’occupazione che rispecchi le proprie attitudini, ma cercano anche un rapporto con un’Università che sia in grado di dare delle garanzie. In che modo l’Università li orienta al lavoro?

«Nel nostro Ateneo ci sono dei formatori e c’è una lunga tradizione formativa, un’etica molto forte in questo senso e questo avviene anche in corso d’opera: lo studente con noi si trova avvolto in una rete che lo sollecita ad arrivare al risultato. E poi c’è la parte finale, quella del servizio “Job” che crea orientamento e promozione al lavoro dimostrando che anche nel nostro difficile contesto si possono intrecciare seri rapporti con il mondo produttivo».

Lei dirige anche l’Istituto Scolastico Suor Orsola Benincasa che in questi giorni ha presentato il primo asilo bilingue di Napoli.

«L’idea nasce dalla constatazione che i giovani oggi hanno bisogno d’impadronirsi da subito delle chiavi di accesso al mondo del lavoro. Chi viaggia e lavora in determinati contesti sa bene che la non conoscenza di una seconda lingua, in particolare la lingua inglese, significa non stare nel contemporaneo, significa trovarsi in una situazione di vero disagio. Le nostre ricerche scientifiche hanno rilevato che le lingue si apprendono bene quando l’orecchio è ancora molto giovane: ecco perché nella nostra scuola prediligiamo docenti di madrelingua inglese, capaci di trasmettere il complesso delle sonorità».

Per chiudere, esprima un suo giudizio su quanto sta accadendo a Napoli e nelle sue micro realtà. Come far ripartire la speranza in questa difficile città?

«Per far ripartire la speranza in questa città bisogna restituire alla città un progetto, dare la sensazione che c’è per la città una collocazione nel terzo millennio. Di questo non si intravede ancora una traccia precisa. Però, dentro le università, nei sette atenei di questo territorio, ci sono tante realtà che potrebbero essere messe a sistema. La prima cosa che ognuno di noi deve fare è preoccuparsi del proprio dovere, in senso sostanziale, ponendosi una domanda: cosa posso fare?»

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