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Arnaldo a Rubiera: una vita da Stella Michelin (senza cambiare nulla)

Fuori dalla porta c’è la targa rossa con la Stella Michelin, il simbolo agognato da chef e patron di ogni latitudine. Poi ci siede e si legge il menu: erbazzone e ciccioli, cappelletti in brodo e tagliatelle fatte in casa, i bolliti da scegliere al carrello e la cotoletta alla bolognese, il budino «della nonna» (che qualcuno spalma sul pane, visto personalmente) e le pere cardinale con zabaione.

È come tornare indietro di 60 anni, quando andare in trattoria rappresentava per quasi tutti l’uscita settimanale da festeggiare con i piatti della tradizione.

Benvenuti da Arnaldo-Clinica Gastronomica, ristorante di Rubiera, in provincia di Reggio Emilia, l’unico ristorante ad avere la stella dalla prima guida Michelin pubblicata in Italia. Anno 1959, 61 anni (quasi ininterrotti) da stellato.

Siamo tra la via Emilia e il West, difatti l’edificio – con camere annesse per la gente «di passaggio» che ospita il locale, era la regolamentare locanda di posta della cittadina. Di posti così, in stile rustico elegante e arredi autenticamente vintage, l’Italia è ancora ricca (fortunatamente): gestiti da famiglie in gamba, che fanno dell’ospitalità il must assoluto e stanno resistendo faticosamente al lockdown pensando spesso più ai loro dipendenti che alle perdite dell’impresa. Ma Arnaldo-Clinica Gastronomica non è come gli altri.

Quando giovedì 25 novembre verrà presentata la nuova Guida Michelin, i titolari Roberto Bottero e Ramona Astolfi avranno un pizzico di ansia (peraltro, con il sorriso emiliano) in più rispetto ai colleghi: sarebbe un peccato perdere una Stella che arrivò per la prima volta nel 1959 e salvo un biennio – a fine anni ’90 – è stata mantenuta. Perchè del mitico gruppo dei primi 89 stellati italiani, nessun locale può vantare lontanamente un curriculum del genere. Molti tra questi sono ancora in attività, spesso a livelli accettabili e comunque frequentati da chi ama il classicismo o dai turisti (stranieri in primis). Ci sono state uscite di scena importanti come Fini, che era arrivato alla doppia stella nel 1969, quando la Michelin decise di assegnarne nove in Italia. Tantissimi hanno cambiato gestione. Altri ancora, pur lontanissimi da quella Stella, restano popolari come è il caso dei milanesi Bice e Antica Trattoria della Pesa. E non mancano i locali in fase di rilancio dopo una lunga stasi. Uno tra questi –  12 Apostoli a Verona – ha riconquistato la Stella nell’edizione 2019: ma la famiglia Gioco ha messo mano sensibilmente all’ambiente e alla cucina, oggi definita «veronese contemporanea». Esattamente l’opposto di quanto succede a Rubiera, dove tra l’altro siamo alla terza generazione.

«Il vero problema, mi creda, è trovare i prodotti che siano all’altezza delle ricette – spiega Roberto Bottero, 54 anni  – perchè io continuo a preparare i piatti seguendo quanto mi hanno insegnato le cuoche precedenti, toccandole il meno possibile. La clientela affezionata non me lo perdonerebbe, ma la cosa più divertente è che nell’ultimo anno in sala ho visto tantissimi giovani, soddisfatti dell’esperienza e pronti a prenotare ancora. Credo proprio che non sia un caso: c’è un ritorno alla semplicità, alla tradizione e alla golosità. Almeno in provincia, lo si avverte molto».

Bottero è il nipote del fondatore Arnaldo Degoli, classe 1907 e musicistache aprì il locale nel 1936 dopo aver lavorato in Francia. Un patron appassionato e al passo con i tempi, talvolta avanti. Appena riuscì a recuperare del curry, lo introdusse nella ricetta della faraona in creta e rivisitò anche qualche piatto del territorio. Oltre ai bolliti, il signature dish del ristorante è la golosissima Spugnolata che Degoli inventò negli anni ’50: una lasagna ricca di besciamella, formaggi e sugo di spugnole. «Recentemente l’ha gustata Bottura: mi ha fatto i complimenti. Mi onora il giudizio positivo di un maestro assoluto come Massimo».

Importante: nel 1959, a parte qualche luogo da ricchi o di cucina borghese (come il Savini a Milano), la stragrande maggioranza degli stellati facevano cucina territoriale e quasi popolare. Oggi Arnaldo-Clinica Gastronomica è una delle oasi di mera tradizione (ben eseguita), circondate dai ristoranti dei giovani in carriera e dei mostri sacri dove vige come minimo la «rivisitazione» ma soprattutto si vive di creatività, contaminazione, avanguardia. Avere una sessantina di stagioni di stella vuol dire essere sempre sul pezzo e lavorare in modo serissimo. Con passione e senza presunzione. «Ma non viviamo in contrapposizione ai colleghi che fanno una cucina totalmente diversa – prosegue Bottero – ognuno deve seguire la propria strada, cercando di piacere ai clienti che sono la sola ricchezza. In questo momento complicato, ancora di più . Anche a me piacciono i grandi locali, di ogni genere: però se devo citare un modello è Dal Pescatore: una famiglia esperta, bellissimo posto, grande cantina, piatti buonissimi che richiamano spesso il nostro territorio».

Provochiamo: siete agitati per la nuova uscita della Rossa? «È normale perchè sarebbe un dispiacere perderla dopo tanti anni ma sappiamo di essere un’eccezione in un mondo che previlegia sempre più la novità, i giovani, la scenografia. Poi, sono certo che non perderemmo la clientela: il vero pericolo sarebbe mettersi a cucinare male e perdere quell’ospitalità che è alla base del nostro lavoro. Arnaldo è una casa, tanto che abbiamo anche le camere dell’hotel», risponde Bottero. Resta la curiosità dell’insegna, «Clinica Gastronomica». Durante gli anni ’60, il locale era molto frequentato dai dottori del Policlinico di Modena e Degoli amava scherzare, dicendo che dalla loro clinica uscivano tutti tristi, mentre nella sua i pazienti uscivano felici, perché al posto dei carrelli delle medicine e delle flebo c’erano quelli di salumi e bolliti. Dal calembour all’aggiunta persino nella ragione sociale: Clinica Gastronomica Arnaldo srl, intestata (ancora) ad Arnaldo Degoli e Figlie. Anche in questo c’è la magnifica eccezione di un posto dove il tempo sembra essersi fermato ma in realtà ha solo voluto essere fedele alla sua storia, nell’eccellenza.

VanityFair

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