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Babà: la storia del dolce più amato di Napoli

 

STRANO MA VERO, IL BABÀ AFFONDA LE PROPRIE RADICI IN LORENA E DEVE LA SUA ORIGINE A UN SOVRANO POLACCO IN ESILIO.

Pochi prodotti sanno rappresentare bene l’arte dolciaria napoletana come il babà: soffice, imbevuto di rum, goloso, tradizionale, il dolce partenopeo è uno dei più apprezzati, sia nella versione classica che con l’aggiunta di crema pasticcera. Le sue origini, però, hanno poco a che fare con la Campania: lo racconta anche Flavia Amabile nel suo libro “Si nu’ babbà”, in cui specifica che il lungo viaggio del piccolo dolce ha inizio a Luneville, in Lorena. Una ricetta che lega tre nazioni: Italia, Francia e anche Polonia, perché a inventarla fu proprio il re polacco Stanislao Leszczyński, in esilio nella regione francese, che decise di aggiungere uno sciroppo al rum al kugelhopf, dolce tipico da lui considerato troppo asciutto.

Ma partiamo dalle origini: il kugelhopf è una torta di tradizione alsaziana piuttosto scenografica, di grandi dimensioni, attualmente preparata con lunghi tempi di lievitazione così da risultare soffice e ariosa. In principio, però, non era proprio così e il sovrano, in esilio in Lorena dopo essere stato destituito per ben due volte durante le guerre tra le potenze europee, decise di bagnarla per prolungarne la morbidezza e conservarla più a lungo. Ma non solo: la sua passione per la cucina lo portò a perfezionare la ricetta, aggiungendo ben tre fasi di lievitazione, oltre ad altri ingredienti golosi come uva passa, canditi e zafferano, spezia pregiata che Leszczyński aveva scoperto durante la sua prigionia a Istanbul.

Certo, non era il babà che tutti oggi conosciamo, ma si può affermare con certezza che una prima versione del dolce sia nata grazie al sovrano polacco. L’antenato del babà è approdato poi a Versailles, dove sua figlia Maria, moglie del re di Francia Luigi XV, aveva deciso di trasferirsi insieme al pasticcere del padre, Nicolas Stohrer. Era l’inizio del Settecento e a corte era di gran moda il rum giamaicano, considerato migliore rispetto al madeira utilizzato da Stanislao, che però non apprezzò molto la modifica fatta dalla figlia, come si legge in una conversazione con Voltaire: “Lo scorso mese mi hanno presentato un Babà, così lo chiamano ora, talmente inzuppato di liquore che gli ho dato fuoco. Perde di leggerezza e memoria”.

Una volta approdato a Parigi, il babà venne ulteriormente modificato: niente più zafferano e canditi, ma una nuova forma, quella attuale con la cupola rigonfia. Fu un percorso lungo, quello che portò dalla Francia a Napoli, che coinvolse nuovamente i nobili del tempo. Maria Antonietta, per la precisione, moglie di Luigi XVI e sorella di Maria Carolina d’Austria, sposata con il re di Napoli Ferdinando IV di Borbone: fu la regina a portare a Napoli, alla fine del Settecento, specialità come la besciamella, il gratin e anche il babà. La prima testimonianza scritta risale al 1863 e si trova nel manuale di cucina italiana di Vincenzo Agnoletti, ma sarà necessario attendere la fine del secolo perché il babà diventi un dolce diffuso fra la borghesia napoletana, fin dall’inizio consumato camminando, come un vero street food.

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