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Beato Pasticciotto! Il “lui” con cui fare l’amore in Salento almeno una volta nella vita

Pasticciotto, il dolce salentino inventato per caso

Di tutte le passioni, la più complicata, la più difficile a praticare in modo superiore, la più inaccessibile ai comuni mortali, la più sensuale nel vero senso della parola, la più degna degli artisti più raffinati, è sicuramente quella che riguarda il piacere della gola.  Avete presente miei cari lettori, quella sensazione che si prova ogni volta che si addenta qualcosa di meravigliosamente soffice,  i dolci costituiscono da sempre la passione di grandi e piccini in quanto offrono una varietà di tipi che prevedono tra l’altro cioccolata, panna, miele e senza trascurare l’importante apporto della frutta.

Credo che, assieme alla lussuria, la gola è il vizio più confessabile. Nessuno si vanterà pubblicamente di essere invidioso, avaro, tracotante, iracondo, negligente. Ma nessuno si vergognerà di dire che va matto per il Pasticciotto Pugliese, oggi voglio parlarvi di un simbolo del Salento, un dolce tradizionale semplice nella preparazione ma squisito nel gusto, farcito con crema pasticcera, a cui è possibile aggiungere delle deliziose amarene, e racchiuso da uno scrigno di pasta frolla.

Nel mezzo della provincia di Lecce, tra l’esuberante accalcarsi di palazzi e chiese gotici, barocchi, rococò e tarantati che è il borgo antico di Galatina, spicca la presenza discreta, quasi sabauda, delle vetrine della pasticceria Ascalone. Secondo la leggenda, questa è la Cappella degli Scrovegni del dolce chiamato pasticciotto: il luogo in cui diverse tradizioni e intenzioni sono state codificate, una volta per tutte, in una sola forma. Un po’ come fece Giotto con l’arte moderna, per capirci subito su quanto sia presa sul serio, qui, quella leggenda.

Iscritto al registro delle imprese storiche con l’altisonante data 1745, Ascalone è fatto così: fuori Belle Époque e dentro profondo Salento. È spaccato in due: da una parte il front-office (facente funzione di salotto cittadino) e, dall’altra, il laboratorio dietro le quinte. È difficile stabilire quale delle due metà di questo teatro sia la più iperattiva e fragorosa. Le voci più che garrule delle sorelle Sabrina e Maria Cristina, che alternano armoniosamente molte interiezioni e pochissimi eufemismi — e che vi accolgono già ben prima di aver superato le tendine di pizzo che le separano da via Vittorio Emanuele II — non possono non stridere col registratore di cassa d’epoca, le vetrinette linde e vezzose, le sedie damascate, la boiserie ovunque, il marmo immacolato del bancone, lo specchio alle spalle del bancone, in modalità Renoir alle Folies-Bergère. Ma appena lo sguardo vi cade sul pavimento a grandi scacchi bianchi e neri, la scena già cambia, e capite di essere capitati in piena Alice nel Paese delle Meraviglie. Se Ascalone fosse una canzone sarebbe un pezzo di Battiato-Sgalambro prima maniera: grammatica impeccabile, con musica e testo discretamente fuori di testa.

Gli iniziati chiamano questo locale “bar” anche se, a memoria di galatinese, nessuno ci ha mai preso un caffè o un liquore. Qui si viene per i pasticciotti; quando finiscono — e finiscono presto — per rabboccare le scorte di paste secche o di gossip fresco, tutto fatto in casa. Avendo a disposizione solo un’ora, in una vita, da trascorrere in Salento, basterebbero dieci minuti da Ascalone e il resto sull’Adriatico o sullo Jonio, secondo il vento. Ascalone è l’opposto del modello di pasticceria che spande profumi per la via, favorendo la classica navigazione GPS olfattiva. È anche l’opposto del modello di pasticceria, in generale. Le sue vetrine sono praticamente sempre vuote, come se la famiglia che vi impera ci tenesse ad alimentare gli avventori, prima ancora che dei suoi dolci, di un altrettanto delizioso senso di incertezza; quasi che, le volte in cui qualcuno riuscisse effettivamente ad accaparrarsi un’intera guantiera di pasticciotti, fosse perché se l’è davvero meritato. Perfino il cliente veterano approccia Ascalone con una buona dose di fatalismo, anche in caso di prenotazione

Il pasticciotto ascaloniano, infatti, non è solo un’intera tradizione dolciaria in formato tascabile, ma anche il modellino in pastafrolla di un progetto architettonico a cui corrisponde una precisa visione del mondo. Pochi prodotti di pasticceria si sono posti e hanno risolto con altrettanta efficacia il problema del rapporto tra interno ed esterno, come questo serbatoietto, in pastafrolla stagna, pieno di crema pasticcera. Con la sua cupoletta spennellata d’uovo, che al termine della cottura diviene colore dell’ambra, il pasticciotto è un pezzo di rocaille staccato dalla vicina facciata di San Pietro e reso commestibile

All’undicesima generazione di continuo perfezionamento, cioè: non cambiare niente continua a essere eccezionale così. Ancora oggi gli eredi di Andrea Ascalone continuano a tramandarsi una ricetta di famiglia diventata famosa anche fuori dai confini nazionali e persino negli Stati Uniti, grazie ad alcuni emigranti della ristorazione di origine salentina. La forma originale è quella ovale, ma le varianti del pasticciotto salentino non mancano. Ad esempio, un altro dei più noti, è quello napoletano, ripieno con la solita crema, ma unita all’amarena. In commercio ci sono anche pasticciotti col cioccolato, con la marmellata, con crema pasticciera e anche con la gianduia. Perché ne sia almeno valsa la pena di finire all’inferno, nel gironi dei golosi, non si può non  provare un pasticciotto almeno una volta nella vita.

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