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Coronavirus, ecco come nasce un focolaio: così un positivo ne ha contagiati 126 a Vercelli

Come nasce un vasto focolaio di coronavirus? La risposta è nella ricostruzione di uno degli episodi che sta caratterizzando la diffusione del Covid-19 in Piemonte. A metà luglio un giovane della Repubblica Dominicana, dopo un viaggio nel suo Paese, rientra a Vercelli, cittadina in cui risiede. Da quel momento l’uomo, positivo e poco informato, contagia direttamente o indirettamente almeno 126 persone (tre finiscono in ospedale mentre una muore).

Un singolo caso sfuggito al controllo è diventato così la miccia di un focolaio tra i più vasti nel Piemonte. A ricostruire la catena di contagi è l’epidemiologo Fabrizio Faggiano, già componente dell’unità anti-Covid-19 in Valle d’Aosta, professore di Igiene a Torino, a margine del convegno nazionale di diritto sanitario organizzato ad Alessandria dall’ex ministro della Salute, Renato Balduzzi.

Il rientro in Italia del “paziente zero” e la mancata autodenuncia. Come riportato dal quotidiano Il Corriere della Sera, tutto comincia il 13 luglio quando il giovane rientra dalla Repubblica Dominicana, per i cui cittadini era previsto l’isolamento domiciliare, e torna a Vercelli dove risiede. Si tratta del “paziente zero.” In un secondo momento, il ministero della Salute segnala la presenza a bordo dell’aereo di un soggetto positivo. Ma il dominicano non si autodenuncia e non viene quindi disposta per lui la quarantena.

Dalla piscina alla discoteca, il virus si diffonde. A quel punto l’uomo mantiene una vita senza limitazioni, niente distanziamento e niente mascherina. Nei giorni 21 e 22 luglio, incontra una coppia di amici in una piscina comunale e li contagia. Il 26 partecipa ad una serata in una discoteca di Vercelli dove trasmette il virus al gestore del locale e ad altre 58 persone tra clienti e personale. I quali infettano inconsapevolmente 15 familiari.

I contagi secondari e il focolaio al funerale. Nel frattempo i 2 amici incontrati in piscina, che lavorano in una ditta logistica locale, trasmettono il Covid ad almeno 33 colleghi. Questi ultimi veicolano il virus a loro volta dentro le mura di casa coinvolgendo altri 8 familiari. Ma non è finita qui perché una delle persone presenti alla serata in discoteca si reca nei giorni successivi in un bar e infetta alcuni clienti del locali. Uno di loro, il 14 agosto, partecipa a un funerale dando origine a 6 positività tra i presenti e altre 6 tra i loro familiari.

I contagi legati al cluster “potrebbero essere molti di più. “Secondo l’epidemiologo Faggiano “altri casi sono legati al ‘paziente zero’, sfuggiti alla minuziosa attività di tracciamento dei contatti da parte del servizio di igiene e sanità pubblica. Però un dato è provato. Un singolo caso di importazione nell’arco di 25 giorni ha dato il via a una catena di 126 contagi certi”. In conclusione: il 12% dei contagi sono avvenuti in ambiente amicale/familiare, il 26% in ambito lavorativo, il 62% in un contesto di svago.

Lacune nella catena di controllo e informazione. La ricostruzione della vicenda mette però in luce alcune lacune nella catena di controllo del Covid. Il giovane “non ha ricevuto all’arrivo in Italia le informazioni necessarie per indurlo a contattare la Asl, incompletezza lamentata da diversi viaggiatori”.

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