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Covid-19, è guarito Mattia: «Sono tornato come avevo promesso alla mamma»

«Devo andare, stai tranquilla. Ti amo e lotterò per te». È il messaggio che Mattia 18 anni aveva mandato a sua madre prima di essere intubato. È un messaggio che ha fatto il giro del web con la storia di questo ragazzo che ora è pronto a uscire dall’ospedale Cremona, quello che la mamma chiamava ogni giorno per sapere come stava e riceveva sempre la stessa risposta: «È grave, ma stabile».

L’ultima cosa che Mattia ricorda, lo ha raccontato al Corriere della Sera, è proprio la voce del medico della terapia intensiva.

«Ora chiama la mamma, dille che ti intubiamo, che andrà tutto bene». Lui ha scelto di mandarle un messaggio. «Nella mia testa così avrebbe avuto meno ansia e quel messaggio l’avrebbe riletto anche nei momenti grigi».

Dei quindici giorni che ha passato intubato non ricorda niente. «Neanche un sogno, non ricordo nulla, è come se il tempo in coma si fosse azzerato. Ho in mente un gran frastuono, l’influenza che non passa, il viaggio in ambulanza, il soccorritore: un amico di famiglia. Riconosco il suo sguardo in mezzo a decine di altre persone. La mia paura, quella sì, la ricordo. Chiedo ai medici se ce la farò, vedo il fumo del respiratore, mi addormento».

Questo ragazzo è diventato un figlio per tutto il reparto. Quando la sedazione cala, arriva il risveglio. «C’è un infermiere che regge un cellulare: il mio risveglio è la voce metallica di mia madre che mi saluta e dice che il peggio è passato. Mi guardo intorno spaesato e capisco. Mi dico che deve essere passato un giorno, invece sono 12. Provo a rispondere: me l’avevano detto, i medici, che non ce l’avrei fatta a parlare. Però vedo i loro occhi brillare e mi basta, si guardano, devono essere fieri del loro lavoro. Sorrido e piango: sono sveglio».

Al risveglio ha trovato 100 messaggi dai compagni di scuola con cui affronterà la maturità e anche dai giocatori dell’Inter. Javier Zanetti l’ha invitato a San Siro. «Il ritorno alla normalità è lento, mangiare un budino mi è parsa una conquista. Non è stato facile: una volta sveglio ho continuato ad avere paura, di notte facevo fatica a dormire perché temevo di non risvegliarmi. Una cosa è certa, però: ora sono più forte. Se penso che prima di entrare qui la paura più grande era l’interrogazione di storia».

Dell’ospedale vuole ricordare i dottori, le loro rassicurazioni, le carezze degli infermieri, le risate con Paolo che lo ha accolto in reparto. «E c’è una cosa che ancora mi emoziona: aver onorato quella promessa alla mamma: “Non ti lascerò”. Mica ne ero certo quando gliel’ho scritto, ma è andata bene, sono qui».

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