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Covid-19: il 40% degli infetti era asintomatico

Il 21 febbraio 2020 un residente di Vo’, un comune di 3.200 persone in provincia di Padova, moriva per i sintomi di una polmonite da SARS-CoV-2, primo di almeno 35.000 pazienti deceduti per covid. La successiva gestione del caso, che ha previsto un lockdown di 14 giorni per l’intera popolazione di Vo’, oltre a una campagna di tamponi che ha coinvolto la quasi totalità degli abitanti, è diventata un modello internazionale di contenimento riuscito di un focolaio di CoViD-19.

Di recente la rivista Nature ha pubblicato lo studio scientifico su quanto emerso da quei test a tappeto, studio che, tra i firmatari, ha come referenti Andrea Crisanti, padre del protocollo sanitario adottato a Vo’, Direttore del Dipartimento di medicina Molecolare dell’Università di Padova e del laboratorio di Microbiologia e virologia dell’Azienda Ospedale/Università di Padova, e la dottoressa Ilaria Dorigatti, del MRC Centre for Global Infectious Disease Analysis dell’Imperial College di Londra. Il lavoro fa chiarezza sulla frequenza delle forme asintomatiche dell’infezione e sulla loro infettività, oltre a far emergere un dato interessante sulla trasmissione della CoViD-19 nei bambini.

ASINTOMATICI: QUANTI SONO? Gli scienziati hanno valutato la presenza di infezione da SARS-CoV-2 negli abitanti di Vo’ effettuando tamponi nasofaringei rispettivamente all’85,9% e al 71,5% della popolazione, in due diverse occasioni. La prima indagine, condotta all’inizio del lockdown locale, ha riscontrato una prevalenza dell’infezione (ossia una fotografia di quanti risultavano contagiati in quel dato momento) nel 2,6% della popolazione. Nella seconda indagine, svolta alla fine del lockdown locale, è risultato positivo l’1,2% dei residenti.

Ma il dato più interessante è che il 42,5% delle infezioni confermate nelle due indagini è risultato asintomatico: i pazienti non avevano sintomi al momento del test né li hanno sviluppati successivamente. Il dato è in linea con i parametri di recente aggiornati dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC) statunitensi, secondo i quali il 40% dei casi di covid è asintomatico (la stima precedente era del 35%).

LA CONTAGIOSITÀ. Le analisi non hanno rilevato alcuna differenza statistica significativa tra la carica virale (la quantità di virus nei tamponi) dei pazienti sintomatici rispetto a quelli asintomatici, un dato che rende perfettamente plausibile il fatto che anche questi ultimi possano contribuire alle catene di trasmissione: «Se da un lato è verosimile pensare che un soggetto sintomatico trasmetta l’infezione con più facilità, espellendo ad ogni colpo di tosse grandi quantitativi di virus, dall’altro è ragionevole pensare che i sintomi possano anche indurlo a rimanere a casa, limitando di conseguenza il numero dei contatti e le possibilità di contagio», chiarisce Enrico Lavezzo, docente del Dipartimento di medicina Molecolare dell’Università di Padova, primo firmatario dello studio. «Un soggetto asintomatico, invece, non è consapevole di essere infetto, e quindi si comporterà come se non avesse la malattia e continuerà a vedere altre persone, anche molte, a seconda del suo stile di vita e della sua occupazione».

La questione della trasmissione del virus da parte degli asintomatici è stata di recente al centro di polemiche per un’affermazione affrettata dell’OMS sull’improbabilità di questo evento, in seguito ritrattata.

I MENO COLPITI. Infine, un aspetto importante riguarda la covid nei bambini: come spiega Cristanti, «i bambini sembrano ammalarsi di meno e con pochi sintomi, dimostrando una certa resistenza al virus. A Vo’ su un campione di 234 bambini da 1 a 10 anni nessuno è risultato positivo al tampone, anche se spesso hanno convissuto con genitori infetti».

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