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Cozzolino: “Primarie anche per i capolista alle politiche. Renzi decisivo in Europa”

A Radio Club 91, per la trasmissione “Dentro i fatti” condotta da Samuele Ciambriello, è intervenuto Andrea Cozzolino, europarlamentare del Partito Democratico, candidato alle ultime Primarie Regionali del Pd, dalle quali è uscito con il 44% dei voti a fronte del 52% di De Luca e del 4% di Marco Di Lello. L’europarlamentare ha sempre appoggiato, prima e dopo le primarie, una fervente idea di coesione del partito, di unità e trasparenza, a fronte degli individualismi che ne lederebbero la credibilità. Di questo, della nuova legge elettorale, dei 100 anni di Ingrao, e di due importanti manifestazioni avvenute in questi giorni (quella tunisina e quella tutta italiana della Fiom) si è parlato durante l’intervista radiofonica.

 

Renzi ha detto: “Avanti con l’Italicum ma sul nuovo Senato si può ridiscutere”. In quanto membro della direzione nazionale del Pd cosa pensa della legge elettorale?

Io non farei sul tema della preferenza una battaglia di dissenso. I collegi sono tali da poter costruire un rapporto più diretto tra gli eletti del nuovo parlamento, attraverso l’Italicum, e i cittadini; non avremo cioè quelle liste bloccate con nomi sconosciuti che non hanno nessun rapporto con collegi di due milioni di cittadini.

Eventualmente, si potrebbe suggerire al Pd di fare le Primarie anche per eleggere il capolista.

Sì, si può introdurre un principio, secondo me già sancito in parte nel nostro statuto, che per cariche istituzionali di questa portata ci sia il coinvolgimento dei cittadini attraverso le primarie. Secondo me è risolvibile il tema della preferenza attraverso un meccanismo di collegio di primarie. Teniamo conto che ogni collegio dovrà eleggere un minimo di 2-3 parlamentari, c’è spazio quindi per un’iniziativa che impegni direttamente i parlamentari ad avere un rapporto diretto con le comunità locali. Prevedo un parlamento meno anonimo di quello attuale, meno lontano di quello attuale.

Ieri, a undici giorni dall’attacco al museo del Bardo, costato la vita a 22 persone, la Tunisia ha marciato contro il terrorismo: insieme al capo di Stato francese François Hollande anche il premier italiano Matteo Renzi e la presidentessa della Camera Laura Boldrini. Che effetto le ha fatto vedere Renzi in mezzo a tutta quella marea rossa?

Non poteva che essere lì, insieme a Hollande e altri leader europei. Semmai, aggiungiamo che con troppo ritardo, come comunità europea, si è sostenuto il lavoro sulla sponda sud del Mediterraneo per favorire un processo di partecipazione democratica più vero e una lotta agli integralismi, soprattutto quello islamico. La ferita di Bardo è una ferita aperta ma noi dobbiamo recuperare, insieme all’Europa, una nuova attenzione.

C’erano molti bambini alla manifestazione con cartelli alzati che dicevano “Quest’estate le vacanze le faccio in Tunisia”.

C’erano molti giovani. È stata una manifestazione di popolo, di un paese che sta provando a costruire un percorso democratico importante che richiede un sostegno economico davvero significativo da parte della comunità europea e di un paese come il nostro. Matteo Renzi, quindi, secondo me ha fatto molto bene a essere lì.

Parliamo di un’altra manifestazione, quella nazionale della Fiom, Federazione Impiegati Operai Metallurgici, il cui segretario generale, Maurizio Landini, ha fatto molto parlare di sé per aver dichiarato: “Renzi come Berlusconi, anzi peggio”. Secondo alcuni potrebbe delinearsi anche un progetto di contrapposizione politica al Pd. Lei cosa ne pensa?

Io dò una lettura diversa rispetto a quella politicista che si prova a dare in queste ore cioè che l’idea che attraverso la Fiom possa nascere un nuovo soggetto politico a sinistra del Partito Democratico, la così detta coalizione sociale. Secondo me si sta lavorando a costruire un nuovo modello di sindacato per i prossimi anni, secondo me questa è la vera sfida della manifestazione di sabato. C’è la percezione, anche in un grande sindacato come quello della Fiom, di dover ricostruire la propria identità, un proprio radicamento, una propria forza; cioè qual è la funzione del sindacato nei prossimi anni, dopo la stagione dell’austerità, qual è la natura di questo nuovo sindacato. A me pare più interessante questo aspetto piuttosto che quello più vendibile sulle pagine dei giornali.

Quanto al confronto Renzi-Berlusconi credo che Landini abbia sbagliato a fare questo paragone. Non c’è nessun paragone o rapporto tra l’esperienza che sta facendo Matteo Renzi in questi mesi. Credo che il merito di Matteo sia soprattutto quello di aver aperto una discussione con l’Europa per mettere in discussione le politiche di austerità; lui ha fatto uno sforzo davvero significativo, eravamo giunti anche a un punto decisivo della discussione dopo la lunga stagione delle politiche di austerità, però non c’è dubbio che la presenza di Matteo Renzi, in modo in cui ha interpretato il semestre italiano, le proposte, le iniziative svolte in Europa sono state un contributo importante per aprire una stagione che non è affatto conquistata, con una politica di sviluppo, crescita, investimenti pubblici e privati.

Oggi, sul mio quotidiano Linkabile, ho ricordato i 100 anni di Pietro Ingrao, un eretico, un comunista, un uomo del dialogo, del dubbio, che si è fatto rispettare anche dai suoi avversari. Lei come lo vuole ricordare?

Lo ricordo come una figura fondamentale che ha avvicinato alcuni di noi alla politica, alle battaglie di quegli anni, alla storia del partito comunista. Per me Pietro Ingrao continua a essere una figura straordinaria, questo coltivare il dubbio non come paralisi ma come necessità per la politica di nutrirsi di sfide sempre in grado di rispondere alle domande, ai bisogni di un mondo che cambia, di un paese che cambia. Rimane un segnale inconfondibile di questa straordinaria intelligenza critica che è stato ed è Ingrao. Per me festeggiare i suoi 100 anni è molto legato al bisogno di guardare al mondo di oggi con un occhio critico e con una capacità di lettura in grado di svelare i problemi e le questioni aperte e provare a ricostruire il senso di una battaglia di liberazione.  

Lei ha detto che la partita della Campania è decisiva per l’intero Mezzogiorno e che nelle prossime settimane c’è bisogno di un maggiore sforzo di sincerità, coraggio. Cosa crede che debba fare il partito di più a livello locale e nazionale?

Tutti sanno che ho partecipato alle primarie e che ho rispettato il loro risultato, tuttavia i problemi politici, ad un mese dal loro risultato, rimangono purtroppo tutti aperti sia in termini di alleanze, che di programma, che giuridici amministrativi in merito alla gestione della Legge Severino. Sono problemi politici che non possiamo mettere in testa al candidato ma devono essere affrontati dal Partito Democratico, campano e nazionale. Questo dire e non dire, questo considerare le Primarie come una specie di soluzione di tutti i problemi e contemporaneamente affidarsi a scelte individuali, come continuano ancora in queste ore, io lo considero un modo sbagliato per andare in campagna elettorale. Si devono dire parole chiare perché noi dobbiamo dare certezze ai cittadini.

Il candidato del Pd resta De Luca?

Sì, certamente.

Vendola ha attaccato De Luca dicendo che è un candidato zoppo, che se vince dovrà dimettersi, ma non è incoerente – secondo lei – Sel e Vendola che stanno, invece, al governo del Comune di Napoli con un sindaco che è nella stessa situazione di De Luca.

Assolutamente sì anche se, come sapete, le vicende sono completamente diverse anche se, è chiaro, si pongono gli stessi problemi.

 

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