Cultura

Dalla parte delle viole. Il nuovo libro di Mario Visone

E’ sempre interessante incontrare persone nuove. Ogni volta è come mettere un mattone intatto al fondamentale ponte che dovrebbe collegare l’umanità, quello delle relazioni. Tra gli ultimi incontri che ho fatto, mi piace ricordare per intensità e interesse quello con Mario Visone, lo scrittore della resistenza spagnola e di Garcia Lorca. Mi ha fatto dono del suo libro “Dalla parte delle viole”, pubblicato dalla casa editrice napoletana Homo scrivens, e mi ha un po’ cambiato la giornata. Lui per la passione e la competenza con cui mi ha raccontato le esperienze di vita che lo hanno condotto alla scrittura di questo volume e il libro che ho assorbito quasi nutrendomene. Mario Visone è una persona piacevole e complessa, molto autoironica ma allo stesso tempo estremamente amara, e, data la mano da cui proviene, il libro non poteva non essere particolare. Scritto con uno stile ricco ma mai ridondante, “Dalla parte delle viole” è un romanzo storico, un pezzo di letteratura della resistenza che sembra scritto nel secolo scorso, e che insieme è anche un romanzo di formazione per un protagonista straordinario, antieroe per eccellenza, quasi cecoviano, anarchico, aspirante suicida, incapace di uccidere nel suo viaggio verso la Spagna cominciato per vendicare la morte del poeta Federico Garcia Lorca avvenuta per mano della falange franchista.

“Io sono uno Spagnolo integrale e mi sarebbe impossibile vivere fuori dai miei limiti geografici; però odio chi è Spagnolo per essere Spagnolo e nient’altro (…)”.  Sono queste le parole di Garcia Lorca, che portano Guido Santandrea – questo è il nome del protagonista – in Spagna. Le parole di Lorca, del resto, recano in sé la tentazione alla libertà che è la stessa di ogni poeta; ovvero la ricerca dell’equilibrio fra le aspirazioni private e quelle universali dell’umano, la fedeltà profonda alla lingua che è, quindi, all’unisono fedeltà alla lingua di un popolo e consapevolezza che nessuna affermazione di sé è possibile senza articolarsi in un dialogo con l’altro. Così, Guido Santadrea aspira a trovare nella guerra civile spagnola l’occasione di una vendetta impossibile che trova però nel suo fallimento un esito insperato: la purezza intatta dello spirito della libertà.

Ecco. La libertà, il suo mistero profondo, la sua ossessiva ricerca sembra essere la linea di continuità del romanzo. La linea di continuità, anche, tra il libro, il suo autore – nonostante dica spesso che egli non è quello che scrive – e la realtà. Se la rievocazione dei fatti del 1937 può infatti parlare al presente, per quel patto implicito fra libri e lettori che è connaturato alla narrazione, non posso non collegare le parole del libro con le immagini dei migranti che scorrevano nei telegiornali, in un momento cioè in cui sembra urgente interrogarsi sul senso di un’appartenenza comune e in cui parrebbe strisciante la tentazione di opporre al fascismo integralista dell’Isis un rigurgito di nazionalismi europei.

La lettura del racconto di Visone, dunque, ci faccia da faro per servirci in questo oscuro cammino che abbiamo davanti.

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