Cultura

Danilo Iervolino: “L’Università deve essere più democratica, più aperta, più libera”

A cura di Franca Pietropaolo

 

Secondo il recente rapporto Almalaurea soltanto 3 diciannovenni su 10 decidono di intraprendere un percorso universitario dopo il diploma. Inoltre, secondo l’ultimo dato estratto dal rapporto della Banca d’Italia, ventimila giovani del Mezzogiorno sono emigrati verso le università del Nord. In controtendenza rispetto al calo degli iscritti agli atenei italiani, negli ultimi dieci anni le università telematiche hanno conosciuto un vero e proprio boom nelle iscrizioni, con una punta del 40% di iscritti in più all’Università Telematica Pegaso.

Presidente Iervolino, a cosa sono dovuti questi dati così drastici e perché questo boom delle Università Telematiche?

«Dunque, penso che si stia acuendo lo sfollamento tra le università tradizionali e la società civile, i giovani. Gli atenei non riescono a soddisfare i bisogni degli studenti, bisogni moderni e di grande flessibilità. L’Università è diventata un mondo molto autoreferenziale che non premia chi la frequenta. L’Università Telematica rappresenta un’emancipazione culturale che deriva anche dal fatto che ci troviamo dinanzi ad un’Università aperta a tutti: dai giovani ai lavoratori, da  “studenti della terza età” a chi ha problemi di mobilità, seguendo il principio del “Dove vuoi Quando vuoi”. L’Università Telematica è flessibile e lo è grazie i potenti mezzi del web, calibrando la formazione attraverso i bisogni specifici dell’individuo: possiamo definirla una formazione su misura, una formazione 3.0. La traiettoria che ci vede crescere con un 20% in più degli iscritti rispetto all’anno precedente è frutto di questa strategia.»

Parliamo del rapporto tra l’Università e occupazione. Da qualche mese l’Università Telematica Pegaso ha lanciato il programma “Occupato o rimborsato”. Di cosa si tratta?

«Dunque, faccio una premessa. L’Università deve allargare la base di offerte da rivolgere ai propri studenti, deve essere più democratica, più aperta e più libera. Già nel Trattato di Lisbona del 2000 si parlava di coesione economica e sociale e si diceva che l’innalzamento culturale ansava di pari passo con l’innalzamento del benessere di un territorio e di un popolo. La correlazione tra il titolo di studio e il reddito da lavoro è evidente in Italia. Abbiamo lanciato il programma “Occupato o rimborsato” insieme a una mutua e a un’assicurazione, che studiando i nostri dati, hanno scoperto che circa l’88% dei nostri studenti spende il titolo entro i 3 anni dalla laurea. Ciò vuol dire che attraverso un nuovo lavoro o un avanzamento di carriera, gli studenti riescono ad avere un ritorno a seguito dei sacrifici che consentono il conseguimento della laurea, che studiando i nostri dati, hanno scoperto che circa l’88% dei nostri studenti spende il titolo entro i 3 anni dalla laurea. Ciò vuol dire che attraverso un nuovo lavoro o un avanzamento di carriera, gli studenti riescono ad avere un ritorno a seguito dei sacrifici che consentono il conseguimento della laurea.»

Come creare dunque una maggiore sinergia tra Università e lavoro?

«Prima di tutto andando in osmosi con il territorio, comprendendo che bisogna sviluppare curricula formativi che vadano verso le nuove professioni e soprattutto preparando studenti creativi capaci di costruire il futuro con le proprie mani senza aspettarsi il posto fisso come negli anni ottanta.»

Tra il ventaglio di offerte formative dell’Università Telematica Pegaso, manca il corso di laurea in Scienze della Comunicazione. E’ in programma per il futuro?

«Per ora è impossibile, ma per la programmazione triennale 2016-2018, il corso di laurea in Scienze della Comunicazione potrebbe essere istituito insieme ad altri percorsi di studio.»

La formazione ha bisogno di strumenti diversi: l’offerta formativa deve cambiare sia in ambito scolastico che in ambito universitario. Bisogna andare oltre.

«Certo. Le scuole e le università sono degli anfiteatri del sapere troppo chiusi che anestetizzano lo studenti. Bisogna creare luoghi più aperti creando programmi di ampio respiro. Siamo una delle ultime nazioni con progetti di internazionalizzazione: i nostri studenti vanno poco all’estero con la conseguente bassa padronanza della lingua inglese. La scuola va rimodulata e deve farlo attraverso progetti che non creino distinguo tra pubblico e privato tra tradizionale e online, bensì creare sistema per il bene del Paese».

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