Officina delle idee

«Di Pontelandolfo e Casalduni non rimanga pietra su pietra»

Per la serie “storie dimenticate” vogliamo ricordare un triste anniversario che ricorre oggi, 14 agosto, e che riguarda Pontelandolfo e Casalduni, due piccoli comuni della provincia di Benevento. Qui nel 1861 si consumò una vera e propria strage ad opera della Guardia Nazionale capeggiata dal generale Enrico Cialdini. Anche in questo caso l’Unità d’Italia, come per il massacro di Pietrarsa, ha visto scorrere il sangue dei nostri corregionali ed ha vissuto una delle sue pagine più buie.

A causa dell’incendio degli archivi comunali e della mancanza di un censimento non si conosce la cifra esatta delle vittime del massacro, ma  alcune stime parlano di circa  900 civili uccisi. L’ordine di bruciare le città e di uccidere tutti gli abitanti dei due paesi “meno i figli, le donne e gli infermi” fu dato dal generale Cialdini per vendicare la morte di quaranta soldati e quattro carabinieri ordinata dal brigante Angelo Pica ed avvenuta il giorno prima.

Il generale, per l’attuazione del piano, incaricò il colonnello Pier Eleonoro Negri e il maggiore Melegari, che comandavano due reparti diretti rispettivamente a Pontelandolfo e a Casalduni. «Desidero vivamente che di questi due paesi  non rimanga più pietra su pietra. Ella è autorizzato a ricorrere a qualsiasi mezzo, infliggendo a quei due paesi la più severa punizione» fu la disposizione che Cialdini impartì a Melegari.

All’alba del 14 agosto i soldati raggiunsero i due paesi. Mentre Casalduni fu trovata quasi disabitata (gran parte degli abitanti riuscì a fuggire), a Pontelandolfo i cittadini vennero sorpresi nel sonno. Le chiese furono assaltate, le case furono saccheggiate e incendiate con le persone che ancora vi dormivano. In alcuni casi, i bersaglieri attesero che i civili uscissero delle loro abitazioni in fiamme per sparargli appena usciti allo scoperto. Gli uomini furono fucilati mentre le donne (nonostante l’ordine di essere risparmiate) furono sottoposte a sevizie o addirittura vennero violentate. Carlo Margolfo, uno dei militari che parteciparono alla spedizione punitiva, scrisse nelle sue memorie: «Al mattino del giorno 14 (agosto) riceviamo l’ordine superiore di entrare a Pontelandolfo, fucilare gli abitanti, meno le donne e gli infermi (ma molte donne perirono) ed incendiarlo. Entrammo nel paese, subito abbiamo incominciato a fucilare i preti e gli uomini, quanti capitava; indi il soldato saccheggiava, ed infine ne abbiamo dato l’incendio al paese. Non si poteva stare d’intorno per il gran calore, e quale rumore facevano quei poveri diavoli cui la sorte era di morire abbrustoliti o sotto le rovine delle case. Noi invece durante l’incendio avevamo di tutto: pollastri, pane, vino e capponi, niente mancava…Casalduni fu l’obiettivo del maggiore Melegari. I pochi che erano rimasti si chiusero in casa, ed i bersaglieri corsero per vie e vicoli, sfondarono le porte. Chi usciva di casa veniva colpito con le baionette, chi scappava veniva preso a fucilate. Furono tre ore di fuoco, dalle case venivano portate fuori le cose migliori, i bersaglieri ne riempivano gli zaini, il fuoco crepitava.»

Altri episodi del massacro si leggono nella relazione parlamentare che il deputato Giuseppe Ferrari scrisse a seguito del suo sopralluogo a Pontelandolfo. Nella relazione si citano due fratelli Rinaldi, uno avvocato e un altro negoziante, entrambi liberali convinti. I due fratelli, usciti dalla loro abitazione per capire cosa stava accadendo, furono uccisi all’istante e uno dei due, ancora in agonia dopo i colpi di fucile, fu finito a colpi di baionetta. Un altro episodio citato è quello di una ragazza, tale Concetta Biondi, che rifiutandosi di essere violentata da alcuni soldati, fu fucilata. Al termine del massacro, il colonnello Negri telegrafò a Cialdini: «ieri mattina all’alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. Essi bruciano ancora.» Il 14 agosto 2011, Giuliano Amato, presidente del comitato per le celebrazioni del centocinquantenario dell’Unità d’Italia, ha commemorato quella strage, porgendo a tutti gli abitanti di quella che è stata definita «città martire», le scuse dell’Italia.

 

Noi oggi non possiamo che ricordare con infinita tristezza.

Potrebbe piacerti...