carcere misure alternative

Ciambriello:”Il carcere è una lente particolare attraverso cui guardare la nostra società e per tale ragione l’interrogativo non riguarda soltanto la vita dei detenuti.”

Questa giornata di riflessione, organizzata dal mio ufficio di Garante campano delle persone private della libertà personale, d’intesa con la Conferenza nazionale dei garanti territoriali, nasce dalla necessità di rilanciare i temi del carcere e dell’esecuzione penale, per lasciarci alle spalle il populismo politico che si coniuga con quello penale. Abbiamo messo intorno ai tavoli molti protagonisti, per dialogare, in particolare con i magistrati di sorveglianza, con il terzo settore che opera accoglienza ed inclusione, con avvocati, docenti universitari, associazione e garanti in trincea quotidianamente.

Il carcere è un tema scomodo in termini di consenso politico.Anche la sinistra tergiversa gravemente, pur avendo avuto il merito di aver lanciato Gli Stati generali, ma pavidamente li ha affossati. Quel progetto è un prodotto chiavi in mano che nessuno vuol mettere in campo. Come garanti, a più voci, in più sedi, anche attraverso il Garante nazionale, chiediamo una rinnovata attenzione politico istituzionale verso l’intero pianeta carcere, per promuovere iniziative ed interventi che appaiono necessari per riorganizzare e rendere più moderna ed efficiente l’amministrazione penitenziaria. Ma invochiamo provvedimenti concreti per ridurre le distanze tra il carcere  così com’è e il carcere come dovrebbe essere alla luce della Costituzione.carcere misure alternative

            Da giorni, raccogliamo le sofferenze dal sistema di esecuzione penale, stressato fino alla ‘decomposizione’ da quest’emergenza sanitaria: in Campania ci sono 6732 detenuti (336 donne,917 stranieri,152 semiliberi) . Le carceri del nostro Paese vivono uno stato di eccezione permanente da molti anni, complice di questo ‘eterno ritorno’ è l’estensione ipertrofica dell’area penale (generata da scelte politiche securitarie in contraddizione con la diminuzione consistente dei reati) che ha periodicamente aumentato gli ingressi e le permanenze nelle strutture detentive. Sono in affanno tutte la braccia del sistema penale (e non solo nel nostro Paese): i Tribunali, le Procure, gli Uffici di Sorveglianza, le Direzioni degli Istituti, gli operatori giuridico-pedagogici, il comparto medico, la polizia penitenziaria. Pertanto, a fronte delle tragiche morti avvenute nel corso delle sommosse negli istituti agli inizi di marzo e delle tensioni, che fin ora riescono ancora ad essere assorbite, attendavamo delle scelte governative più incisive che prendessero seriamente in considerazione la drammaticità del problema.
            Invece, ci siamo dovuti confrontare con misure gattopardesche e rimaneggiate (le disposizioni governative, durante il Covid,hanno raggiunto poco meno di 600 beneficiari nella nostra Regione), già presenti nel nostro ordinamento, che ad oggi non considerano affatto le difficoltà degli Uffici di Sorveglianza – normalmente sovraccarichi e a corto di personale – che non riescono in piena emergenza  ad essere efficienti. Se a questo ci aggiungiamo anche la mancanza di magistrati di sorveglianza a Caserta, Napoli e Salerno, la questione diventa più seria.Così come per le pratiche inevase presso L’Uepe, con conseguente disorganizzazione e improduttività degli uffici.
            La questione penale è seria e per essere concretamente valutata necessita di una riconsiderazione complessiva. Ad oggi, per riportare la condizione detentiva nei parametri della nostra Costituzione, dobbiamo prevedere dei meccanismi automatici, responsabilmente immaginati, che possano incidere immediatamente per deflazionare il carico dei detenuti, proteggendo le vite più esposte al contagio e prevenendo che le carceri si trasformino in una bomba-sanitaria con il progressivo sviluppo dei picchi epidemici e dei focolai autoctoni.
            Il carcere è una lente particolare attraverso cui guardare la nostra società e per tale ragione l’interrogativo non riguarda soltanto la vita dei detenuti. I fatti di Santa maria Capua Vetere, la Mattanza così definita dal GIP, hanno suscitato profondo turbamento e grande preoccupazione. Dobbiamo essere in grado di inibire alla radice il possibile manifestarsi di una mentalità contrappositiva ed atteggiamenti aggressivi-ritorsivi nei confronti della popolazione detenuta. sarebbe tuttavia sbagliato prendere spunto da questa drammatica vicenda casertana per formulare giudizi di generalizzata censura nei confronti dell’intero corpo della polizia penitenziaria.
            Il domani è già adesso e abbiamo il dovere di costruire soluzioni che contemperano diverse esigenze ma che abbiano come postulati inamovibili la tutela della dignità umana e la protezione delle fasce marginali, perché nessuno deve essere lasciato solo. Meno carcere, quindi, meno ingressi in carcere, più misure alternative al carcere. Queste misure offrono una possibilità, un reinserimento, un patto socile. la persona è nella sua comunità.La recidiva con le misure alternative scende al 21%

La pena è un percorso e non un atto immodificabile. Nell’esecuzione penale sono chiamati in causa una pluralità di soggetti ed istituzioni che hanno bisogno di diaalogare nei diversi momenti della pena. Non basta quindi solo una comunicazzione trasparente e tempestiva, ma va ssicurata, mi si passi il termine, “una infrastruttura sociale”, in grado di garantire al cittadino detenuto una intelocuzione costante con la direzione, l’area educativa, quella sanitaria, la magistratura di sorveglianza il volontariato. Siamo qui per proporre  questa infrastruttura sociale sociale, iniziare queto cammino. Camminando s’apre il cammino.

 

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